Rubrica a cura di Armando Carcaterra, direttore investimenti di Anima SGR.
Per accedere a questo contenuto
Tutto rinviato all’appello di dicembre. Per comprendere l’intonazione dei mercati finanziari per i primi mesi del 2016 si dovrà avere ancora un po’ di pazienza e attendere i prossimi appuntamenti periodici di BCE e Fed, rispettivamente fissati per il 3 e il 16 dicembre. In particolare, gli investitori si domandano se l’esito di questi due meeting confermerà la divergenza che contraddistingue ormai da oltre un anno le politiche monetarie delle principali banche centrali del mondo: in Europa misure sempre più accomodanti sotto la guida del Presidente Mario Draghi e in America la politica portata avanti da Janet Yellen, che da tempo si preannuncia più restrittiva. Da un lato c’è la Banca centrale europea che, per combattere il binomio “bassa inflazione e bassa crescita” - nell’Area Euro l’inflazione è ferma intorno allo 0 quando l’obiettivo resta quello del 2% - si è resa disponibile a rendere, a partire appunto da dicembre, la sua politica monetaria ulteriormente espansiva. Anzi ha addirittura aperto all’ipotesi di un “Quantitative easing 2”, senza escludere un nuovo ritocco al ribasso al tasso sui depositi. Tuttavia, al momento, non ha ancora indicato con precisione le modalità con cui intende intervenire, ovvero se si tratterà di un ulteriore taglio dei tassi, dell’implementazione di nuovi strumenti o di un incremento del piano di acquisti stabilito.
Dal lato opposto, lo scorso 28 ottobre, il FOMC della Federal Reserve ha deciso di rinviare per l’ennesima volta il rialzo dei tassi di interesse americani e al contempo ha rinnovato l’intenzione di provvedere alla prima stretta dopo ben dieci anni. Ma qualcosa è cambiato. Nell’ambito delle sue dichiarazioni, infatti, ha rimosso il riferimento ai rischi derivanti dallo scenario internazionale, declassando i timori legati alla congiuntura globale ed in particolare alle prospettive della crescita cinese, in quanto rispetto ai mesi estivi, le autorità cinesi sono intervenute con una serie di riforme. La Fed ha voluto così riprendere le redini delle aspettative, confermando che l’eventuale rialzo dei tassi sarà esclusivamente dipendente dalle risultanze provenienti dall’economia e dall’occupazione domestica; inoltre, al contempo ha riportato l’attenzione su una possibile stretta monetaria già a partire dal prossimo meeting del 16 dicembre, ipotesi ritenuta oggi probabile dai mercati per oltre il 50 per cento. Nel frattempo dall’America sono arrivate notizie positive a riprova che in USA la ripresa è sempre più concreta e che vanno a supportare la volontà della Fed di rifocalizzare la decisione del rialzo sui dati domestici.
In primo luogo è stato pubblicato il PIL relativo al III trimestre, che però se pur salito dell’1,5% mostra una crescita modesta e leggermente inferiore alle attese. Va detto, tuttavia, che i risultati rivelano un miglioramento della domanda interna, salita del 3,2% grazie al contributo di consumi ed investimenti privati. Infine, i recenti dati relativi al mese di ottobre per l’occupazione USA hanno rivelato un vero e proprio boom di occupati: l’economia americana è stata infatti in grado di creare ben 271mila posti di lavoro superando di gran lunga i 182mila stimati dagli analisti. Anche il tasso di disoccupazione è a sua volta sceso al 5% dal 5,1 per cento. Alla luce di questo quadro di mercato la view strategica del team gestionale di ANIMA resta la stessa: neutrale sui mercati azionari con una preferenza, grazie al supporto della BCE, per le Borse europee. Anche per i mercati obbligazionari l’idea generale resta neutrale ma con una preferenza, in merito ai titoli governativi, per la Periferia.