Un boom degli investimenti che si traduce in un nuovo regime di inflazione

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Christophe Morel. Immagine concessa Groupama AM

CONTRIBUTO a cura di Christophe Morel, capo economista di Groupama Asset Management. Contenuto sponsorizzato.

Siamo vicini ad archiviare un anno piuttosto complicato per i gestori a causa, principalmente, delle perturbazioni sui mercati dovute allo scoppio della guerra in Ucraina e a un’inflazione galoppante. A prescindere dagli avvenimenti citati, era l’inizio del 2021 quando sostenevo che la spinta inflazionaria non sarebbe stata un fenomeno transitorio, ma che vedevo, addirittura, un "cambio di regime nell’inflazione".

In chiusura di questo 2022 e guardando al 2023, non ho nessun ripensamento. I periodi di cambiamento del modello economico sono "per natura" inflazionistici. Le transizioni, infatti, richiedono molte risorse che non esistono necessariamente in quantità sufficiente. Ne deriva un boom degli investimenti che si traduce, quindi, in un nuovo regime di inflazione, che si concretizzerà in aumenti dei prezzi delle materie prime, ma anche e soprattutto del prezzo del capitale umano e del capitale finanziario.
Per finanziare la transizione ambientale e l’indipendenza strategica (difesa, digitale, salute, energia, catena alimentare), le economie sviluppate dovranno investire massicciamente. Per esempio, in Europa, sarebbe necessaria una crescita degli investimenti in termini reali dell’ordine del 4% all’anno per 10 anni.

Gli investimenti e l’occupazione sono "complementari". Il ciclo favorevole agli investimenti permette di ipotizzare una resilienza del mercato del lavoro, o addirittura la "piena occupazione". Questo mette in discussione la minaccia di stagflazione, definita come un contesto che combina elevata inflazione, bassa crescita e deterioramento del mercato del lavoro. Al contrario, il contesto di ricostruzione a medio termine si avvicina ancor più alla "reflazione".

Nel 'mondo di prima', caratterizzato da una forte avversione al rischio, i tassi di interesse nulli o negativi erano il sintomo di bassi investimenti. Se il tasso di investimento aumenta senza adeguamento de' risparmio, questo si traduce in una tensione sulla disponibilità della risorsa finanziaria attraverso il suo prezzo, vale a dire il tasso di interesse. Pertanto, la tendenza dei tassi di interesse rimane al rialzo.

Le recenti crisi sono state, quindi, dei catalizzatori di questo cambiamento di paradigma? È proprio il susseguirsi delle crisi di questi ultimi anni a far emergere la necessità di investire in misura massiccia. Le tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina hanno evidenziato la necessità di tecnologia. La crisi del Covid ha sottolineato l’esigenza di migliorare l’indipendenza sanitaria. Gli eventi climatici ci hanno ricordato l’urgenza della transizione ambientale. Infine, la guerra in Ucraina ha accentuato la necessità di reinvestire nella difesa, nella sicurezza alimentare e nell’indipendenza energetica.

E le banche centrali?

C’è un cambiamento di paradigma anche da parte di queste. Posso citare due cambiamenti: in primo luogo, hanno fatto tesoro dell’esperienza monetaria degli anni ’80 e, in caso di recessione eviteranno di abbassare il tasso di riferimento per non stimolare le aspettative di inflazione,  nonostante sia costoso nel breve termine per la crescita. In secondo luogo, il 'Put' delle banche centrali in caso di correzione dei mercati finanziari non è più automatico. Le ultime dichiarazioni dei banchieri centrali mostrano che il miglioramento delle condizioni finanziarie non viene necessariamente percepito in modo positivo.

Una recessione dell'economia globale è in vista?

Le economie sviluppate si trovano di fronte a tre avversità che le spingeranno verso la recessione. In primo luogo, gli stock si sono fortemente ricostituiti in molte aziende industriali, cosicché esse sono ora vulnerabili a un calo degli ordini. In secondo luogo, l’aumento del prezzo delle materie prime energetiche penalizzerà la domanda, soprattutto in Europa. Infine, negli Stati Uniti, l’inasprimento delle politiche fiscali e soprattutto monetarie porterà l’economia in recessione. 
Sarei quasi tentato di dire che esiste una "recessione buona" e una "recessione cattiva". Le ultime recessioni sono state profonde perché legate a squilibri finanziari. Questa volta, la recessione sarà più 'classica', legata all’aumento dei prezzi delle materie prime in Europa e al surriscaldamento dell’economia negli Stati Uniti. Le economie si riprendono molto più rapidamente da una recessione ciclica che da una recessione legata a eccessi di bilancio.
Naturalmente, sussiste sempre la minaccia di un’escalation nel conflitto ucraino che porterebbe a una recessione più profonda. Inoltre, le economie sviluppate dovranno digerire la contrazione di liquidità, che rappresenta sicuramente un "test" per il sistema finanziario. 

Uno sguardo alla redditività del capitale a lungo termine

Nell’ultimo decennio, il premio di rischio ex post sulle azioni si è stabilito tra il 10 e il 15%. Questa redditività "anomala" è legata all’eccezionale iniezione di liquidità da parte delle banche centrali che si è riversata nei mercati finanziari. In questo nuovo contesto, la distribuzione del valore aggiunto sarà più favorevole ai dipendenti a spese degli azionisti. Ciò comporta una revisione al ribasso del rendimento medio del capitale proprio con un premio al rischio che deve normalizzarsi.
I piani di investimento pubblici costringono l’intero ecosistema (aziende, banche centrali) a estendere l’orizzonte. Credo che anche gli economisti debbano fare altrettanto, con urgenza. Finora era consuetudine iniziare con le prospettive congiunturali, poi affrontare l’inflazione e si concludeva con le conseguenze che queste implicavano per la politica monetaria.  Ora, quest’ordine deve essere ripensato: in primo luogo, è necessario estendere l’orizzonte guardando alle prospettive di crescita sul lungo termine per dedurne le implicazioni sul regime di inflazione e sulla reazione delle banche centrali. In questo modo si possono ricavare le prospettive congiunturali. Infine, abbiamo bisogno di uno scenario di lungo termine per anticipare gli sviluppi del breve termine.

Per quanto riguarda il risparmio gestito i massicci acquisti da parte delle banche centrali hanno compromesso la valutazione dei rischi. Questo nuovo contesto è un’ottima notizia per una gestione "attiva" del risparmio e, pertanto, la ricerca diventa più rilevante. Inoltre, sarà necessaria una revisione dei processi di gestione optando per approcci più tattici e contrarian.