Pascal Blanqué (Amundi): "La chiave sarà il mix di politiche monetarie e fiscali"  

Pascal Blanqué, Amundi
Pascal Blanqué. Foto ceduta (Amundi)

Il presidente dell'Amundi Institute, Pascal Blanqué, è certo circa il fatto che quello attuale sia a un cambio di paradigma nell'economia e nei mercati finanziari. A suo avviso, l'inflazione è destinata a durare ancora per un po' e in questa situazione sarà fondamentale la politica monetaria, ma soprattutto il mix di quella monetaria e fiscale. "Quello a cui stiamo assistendo è la fine dell'allineamento di politiche monetarie e fiscali molto accomodanti", dice. Questa fase sarebbe infatti già alle spalle, con l'inizio invece della normalizzazione dei tassi di interesse e il progressivo esaurirsi delle politiche di impulso fiscale sul fronte del bilancio.

Nel processo di cambiamento, ciò che è importante dal punto di vista degli investimenti è pensare a quale sarà la combinazione di entrambe le politiche. Blanqué presenta due scenari agli antipodi. “In uno dei due ci sarebbe la totale normalizzazione della politica monetaria mentre non ci sarebbero più stimoli fiscali. Sarebbe uno scenario complicato per la crescita e per i mercati”. All'altra estremità dello spettro, “c'è uno scenario in stile anni '70, in cui le banche centrali, nonostante la loro retorica alla Volcker, in realtà attuano una politica monetaria più accomodante di quanto dovrebbero. Inoltre, verrebbero mantenuti alcuni stimoli fiscali per finanziare alcuni bisogni necessari, come la transizione energetica o una strategia per rendere l'Europa autonoma dal punto di vista energetico”. Questo secondo scenario è quello che Blanqué considera più probabile, anche se ammette che potrebbero esserci altre possibili combinazioni tra questi due estremi.

Implicazioni del cambio di regime

Partendo dal presupposto che i fondamentali non siano cambiati, le valutazioni potrebbero rimanere elevate perché i tassi non saliranno di molto. In questo contesto, i recenti ribassi potrebbero rappresentare un'opportunità di acquisto a prezzi più interessanti. Ma nello scenario più probabile per l'esperto, ovvero un ritorno agli anni '70, “quello che vedremo sono le autorità che prendono tempo, scommettendo sulla crescita nominale. I tassi nominali aumenteranno, ma i tassi reali non tanto perché l'inflazione rimarrà alta". Blanqué ritiene che la cosa più importante per gli investitori sia, con questo scenario, un cambiamento negli equilibrii delle valutazioni. “Questo implica una diversa interpretazione degli attuali cali di mercato. Si tratterebbe più di un repricing, un aggiustamento dei prezzi, che ha già interessato obbligazioni, azioni e credito, piuttosto che di un aumento del rischio di recessione. È un movimento che non è ancora finito”, aggiunge. Dal suo punto di vista "avrebbe senso assumersi più rischi solo quando si è convinti che rispetto ai livelli di equilibrio di situazioni simili non si è molto lontani da esse. Siamo in un PE di 14 volte in Europa e 20 negli Stati Uniti, ma la media tra il 1973 e il 1981 era dieci, il che ci dà un punto di riferimento. Se prendiamo la media dell'ultimo decennio questa è ben diversa. Per cambio di regime si intende un cambiamento dei livelli di equilibrio che sono serviti come punto di riferimento fino a quel momento".

Inoltre, Blanqué ritiene che ci sarà anche un passaggio da un capitalismo più intensivo di denaro (come negli ultimi 30 anni) a uno più intensivo dal punto di vista delle risorse fisiche.“Il costo del capitale era basso ed è stato impiegato nei mercati con riacquisti di azioni, fusioni e acquisizioni ma molto meno in beni materiali. In gran parte ciò è stato possibile grazie all'influenza della Cina e al suo impatto deflazionistico a livello mondiale, che ha portato tassi di interesse bassi e un aumento dell'indebitamento nelle economie sviluppate. Il problema è che a livello politico si pensava che sarebbe durato per sempre, ma la Cina sta cambiando il suo modello di crescita attraverso le esportazioni”. Una delle conseguenze di questa tendenza è stata il minor investimento in molti settori della vecchia economia, cosa che è diventata particolarmente evidente con la pandemia. Blanqué spiega che sarà necessario ricostituire questi stock più fisici, in cui non sono stati fatti investimenti fino a ora, e che sarà anche necessario continuare a investire nella transizione energetica. “L'aumento del fabbisogno di Capex unitamente a salari più alti comporterà un ripensamento delle valutazioni. In questo triangolo di Capex, salari e RoE, la redditività ne risentirà".

Effetti sui portafogli

Per gli investitori, la cosa fondamentale ora è mantenere il potere d'acquisto dei propri portafogli, il che significa che dovranno cercare asset con un rendimento reale, che "esistano in determinati settori, catene del valore o Paesi".

Nell'equity, l'esperto preferisce i titoli value rispetto a quelli growth e della vecchia economia. La fine del grande consenso monetario implica una frammentazione nelle decisioni di politica monetaria. "Questa frammentazione renderà anche i Paesi meno correlati tra loro, perciò torna a fare capolino la diversificazione a livello internazionale", ritiene. Anche la correlazione positiva tra obbligazioni e azioni sarà in qualche modo una sfida. “Il portafoglio bilanciato 60/40 non funzionerà né fornirà gli stessi rendimenti aggiustati per il rischio del ciclo precedente, penso che vedremo un aumento degli investimenti in azioni, in asset reali, ma anche investimenti in valute. Di fatto, ci stiamo muovendo verso un sistema valutario più multipolare. Il dollaro continuerà di certo a essere core ma gli investitori dovranno anche detenere renminbi”, conclude l'esperto dell'Amundi Institute.