Più iscritti, più patrimonio, ma meno fondi disponibili. I dati arrivano dalla relazione annuale della Covip che scatta una fotografia del sistema di previdenza complementare a fine 2016. Lo scorso anno, secondo l’analisi, il sistema dei fondi pensione è cresciuto, rispetto al 2015, del 7,6% in termini di adesioni e del 7,8% in termini di patrimonio. Gli iscritti ai fondi negoziali sono aumentati del 7,4%, ai fondi pensione aperti del 9,5%. Nei PIP “nuovi” l’incremento è stato invece del 10,3%, includendo anche i vecchi PIP, il segmento dei prodotti assicurativi raggiunge il 42% degli iscritti complessivi.
Eppure il numero delle forme pensionistiche cala. In totale se ne contano 452: 36 fondi negoziali, 43 aperti, 78 piani individuali pensionistici (PIP), 294 preesistenti e FONDINPS. Rispetto al 2015 il numero si è ridotto di 17 unità (10 fondi preesistenti e 7 fondi aperti). I fondi pensione con più di 100.000 iscritti sono 15, oltre la metà ha meno di 1.000 iscritti; di questi, il 90% è costituito da fondi pensione preesistenti. Permangono spazi quindi per una ulteriore concentrazione del settore che consentirebbe assetti organizzativi più efficienti.
Per Mario Padula, presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, “la previdenza complementare può rafforzare il proprio ruolo, svolgendo in modo ancora più significativo di oggi una funzione di supporto al sistema previdenziale di base. La RITA (rendita integrativa temporanea anticipata) già dimostra come sussistano margini per ripensare la tutela previdenziale in un’ottica ancora più integrata e sinergica”. “Tra i bisogni delle società che invecchiano spiccano quelli di cura e assistenza: a una logica di sussidiarietà al primo pilastro risponde la sanità integrativa che, diversamente dalla previdenza complementare, non risulta adeguatamente regolata né efficacemente vigilata”.
Iscritti e patrimonio in aumento
Come già detto il numero degli iscritti alla previdenza complementare, rispetto al 2015, è aumentata, attestandosi a circa 7,8 milioni di persone. La maggior parte (5,8 milioni) sono lavoratori dipendenti, di cuoi 200 mila del settore pubblico e 2 milioni di lavoratori autonomi. Il tasso di adesione permane sensibilmente più basso tra le donne e i giovani, al sud e nelle isole. Per quanto riguarda il patrimonio, a fine 2016 ha superato i 151 miliardi di euro, in aumento del 7,8% rispetto al 2015. Rappresenta il 9% del PIL e il 3,6% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. I contributi raccolti nell’anno ammontano a 14,2 miliardi di euro, di cui il 75% confluisce nelle forme previdenziali di nuova istituzione. Il flusso dei contributi destinato ai fondi pensione aperti e ai PIP è cresciuto dell’11%. Minore è invece l’incremento nei fondi negoziali, pari al 3,4%. Il flusso di TFR versato ai fondi pensione, pari a 5,7 miliardi di euro, costituisce il 40% circa dei flussi contributivi destinati alla previdenza complementare.
Come vanno i rendimenti dei fondi pensione?
A fronte di un andamento positivo dei titoli azionari e obbligazionari nei principali mercati mondiali, nel 2016 i risultati delle forme pensionistiche complementari sono stati positivi per tutte le tipologie di forma e di comparto. I rendimenti medi, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, si sono attestati al 2,7% nei fondi negoziali e al 2,2% nei fondi aperti; per i PIP “nuovi” di ramo III, il rendimento medio è stato del 3,6%; le gestioni separate di ramo I hanno reso il 2,1%. Nello stesso periodo il TFR si è rivalutato, al netto delle tasse, dell’1,5%.
Su un periodo di osservazione più ampio (2008-2016), comprensivo delle fasi di turbolenza dei mercati finanziari, il rendimento netto medio annuo dei fondi pensione negoziali è stato del 3,4%, quello dei fondi aperti del 2,9%; nei PIP è stato del 3% per le gestioni di ramo I e del 2,2% per le gestioni di ramo III. La rivalutazione del TFR è stata del 2,2%. Rispetto ai costi, i PIP sono i prodotti più onerosi: su un orizzonte temporale di dieci anni l’ISC (indicatore sintetico dei costi) è in media del 2,2%; nei fondi pensione negoziali è dello 0,4% mentre nei fondi pensione aperti dell’1,3%.
L’allocazione degli investimenti invece è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2015. Il 61% è investito in titoli di debito, per i tre quarti costituiti da titoli di Stato. Il 16,3% è costituito da titoli di capitale e il 13,5% da OICR. Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, rappresentano il 3,3% del patrimonio e riguardano quasi esclusivamente i fondi preesistenti.
Gli investimenti in attività domestiche ammontano a circa 35 miliardi di euro pari a poco meno del 30%. Gli investimenti in titoli emessi da imprese italiane rimangono limitati: 3,4 miliardi di euro, circa il 3% delle attività, di cui 2,3 miliardi formati da obbligazioni e 1 miliardo da azioni. Rimane concentrata in Italia la quasi totalità degli investimenti immobiliari. Nel confronto internazionale, i fondi pensione italiani mostrano una minore propensione a investire in titoli di emittenti domestici. Tra le cause figurano: benchmark di mercato in cui l’Italia ha un peso contenuto; difficoltà nella valorizzazione e nella liquidabilità di strumenti non quotati; basso livello di capitalizzazione del mercato azionario e limitato numero di imprese quotate. Un’allocazione che potrebbe cambiare in vista delle disposizioni della legge di bilancio per il 2017, che favoriscono investimenti nel capitale delle imprese da parte dei fondi pensione e delle casse professionali attraverso lo strumento della fiscalità e la semplificazione dei meccanismi amministrativi preordinati al conseguimento dei relativi benefici. A queste disposizioni si affiancano poi le iniziative più recenti che estendono la possibilità di investire sui PIR.