Più pensionati che occupati, ma il sistema previdenziale regge

Alberto Brambilla
Alberto Brambilla. Foto ceduta (Centro Studi Itinerari Previdenziali)

Il sistema pensionistico regge, nonostante la pandemia, anche se per la prima volta in vent’anni peggiora il rapporto attivi/pensionati, che nel 202 scende a quota 1,4. Numeri che si leggono nel Nono Rapporto sul Bilancio del sistema previdenziale del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presentati in diretta streaming dalla Sala “Caduti di Nassirya” di Palazzo Madama. “A oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 15 anni, nel 2035, quando le ultime frange dei baby boomer nati dal Dopoguerra al 1980 - in termini previdenziali assai significative, data la loro numerosità – si saranno pensionate”, spiega il presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla, che ha illustrato i dati salienti del Rapporto.

Più pensionati, meno occupati

Nel dettaglio, dopo un trend positivo cominciato nel 2009, e proseguito fino al 2018 per effetto delle ultime riforme previdenziali, il numero di pensionati si mostra di nuovo in risalita: erano infatti 16.035.165 nel 2019, e diventano 16.041.202 nel 2020 (+6.037 unità). Un incremento comunque inferiore a quanto ci si aspettasse dopo l’entrata in vigore di Quota 100 e della conferma di altri provvedimenti finalizzati all’anticipo pensionistico (APE sociale, Opzione Donna), e in parte motivabile con la contestuale e numericamente significativa cancellazione di molte prestazioni a lunga decorrenza. Al 1° gennaio 2021 risultavano in pagamento presso l’Inps 423.009 prestazioni previdenziali con durata quarantennale, erogate cioè a persone andate in pensione nel 1980 o ancora prima. L’anno precedente erano 502.327.

Sul fronte dell’occupazione, di contro, gli attivi nel 2020 scendono dai 23.376.000 del 2019 ai 22.839.000 del 2019, con una diminuzione del tasso di occupazione totale di un punto percentuale (dal 59,1% al 58,1). Si riducono anche il tasso di occupazione femminile, dal 50,1% al 49, e quello degli over 55, che cala al 54,2%, mentre aumenta e di molto (a causa di lockdown e misure di contenimento dei contagi) il ricorso alla Cassa Integrazione e ad altri ammortizzatori sociali in costanza o in assenza del rapporto di lavoro. Tra CIG, NASpI e altre misure a supporto dei lavoratori e delle loro famiglie, l’ammontare complessivo degli interventi di sostegno al reddito è stato di poco inferiore ai 42 miliardi.

Un sistema che tiene

Per l’effetto combinato del pur leggero aumento del numero di pensionati e del calo degli occupati, scende a 1,4238 il rapporto attivi/pensionati, valore fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano e che, solo nel 2019, toccava invece la quota record di 1,4578 (-2,4%), miglior dato di sempre tra quelli registrati dal Rapporto. Si allontana dunque quell’1,5 già indicato nelle precedenti pubblicazioni come soglia necessaria per la stabilità di medio-lungo termine del sistema ma, secondo il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, senza troppo spazio per allarmismi eccessivi. “Considerati sia gli investimenti pubblici e privati previsti tra il 2022 e il 2026 sull’onda del PNRR sia gli scenari previsionali di ripresa economica e occupazionale post COVID, il documento ipotizza infatti un’inversione di tendenza del rapporto attivi/pensionati già entro il 2024, quando il valore dovrebbe assestarsi in prossimità dell’1,49.

Numero di occupati, pensionati e rapporto occupati/pensionati

Fonte: Nono Rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano”, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.

I quattro elementi fondamentali

Secondo Brambilla ci sono almeno quattro elementi fondamentali che vanno monitorati e seguiti affinché la sostenibilità pensionistica regga. Prima di tutto l’età di pensionamento, “oggi tra le più basse d’Europa (62 anni l’età effettiva in Italia contro i 65 della media europea), nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale”. Poi l’invecchiamento attivo dei lavoratori “attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione. Terzo elemento riguarda la prevenzione, cioè la capacità di progettare una vecchiaia in buona salute. Infine Brambilla cita le politiche attive del lavoro: “vanno realizzate di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job”.

Insomma, un serio cambio di rotta da parte del nostro Paese, che oggi vede la quasi totalità della spesa pubblica indirizzata verso sussidi e assistenzialismo, quando invece avrebbe bisogno di una seria revisione della propria organizzazione del lavoro e dei propri modelli produttivi.