Previdenza complementare, per gli italiani è “importante” ma ancora pochi vi accedono

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Anima (FundsPeople)

Il futuro previdenziale passa per l’attività dei consulenti e per l’educazione finanziaria dei singoli risparmiatori. È un dettaglio importante da cui dipende, in definitiva anche l’equilibrio sociale di un Paese. Eppure è ancora ridotta la quota di lavoratori italiani che aderiscono a una forma di previdenza complementare in Italia. Il dato, seppur noto a livello statistico, emerge anche dall’Osservatorio Anima: Gli italiani e i fondi pensione, presentato a Milano il 4 novembre in occasione dell’evento “Anima è previdente”.

I dati

La ricerca, condotta dal 5 all’8 settembre su un campione di 1.019 italiani bancarizzati (di cui il 50% anche “investitori”), con accesso al web e rappresentativi di una popolazione di 35 milioni di persone rileva come, mentre l’investimento previdenziale sia percepito come “importante” (tra “molto” e “abbastanza”) dal 76% dei bancarizzati e dall’81% degli investitori, se si paragona la percentuale a quanti aderiscono a una forma di previdenza complementare (statisticamente nove milioni di iscritti a fronte di circa 23 milioni di lavoratori) emerge, nella pratica, un gap importante tra la percezione del valore dell’investimento e la sua messa in atto concreta. Alla domanda “Ha destinato il suo TFR a un fondo pensione?”, risponde infatti affermativamente soltanto il 34% dei bancarizzati e il 44% degli investitori. A questo si somma un ridotto appetito al rischio che si traduce, per la stragrande maggioranza degli aderenti alla previdenza complementare, nella preferenza per la linea garantita, o più prudente possibile (nel 37% dei casi sia bancarizzati sia investitori) e alla linea bilanciata (il 22% dei bancarizzati e il 33% degli investitori). Soltanto il 7% dei bancarizzati aderisce a una linea prevalentemente azionaria (il 10% degli investitori), percentuale che crolla al due (per entrambe le categorie) per la linea puramente azionaria. E il dato è ancora più rilevante se si guarda alle fasce di età, con i 45-54enni che rappresentano la quota maggiore di aderenti alla linea prudente.

Fonte: Osservatorio ANIMA, Eumetra Mr, settembre 2022.

Il vantaggio fiscale legato alla previdenza complementare, poi, è anch’esso percepito come importante dal campione degli intervistati (84% tra i bancarizzati e 90% tra gli investitori), ma la conoscenza della deducibilità dei contributi si ferma al 32% tra i bancarizzati e al 48% degli investitori.

Complementare a cosa?

La necessità di creare maggiore attenzione sulla previdenza complementare emerge dunque dai numeri e dalle riflessioni degli esperti del settore ma si ferma, in molti casi, tra le maglie della politica, come sottolinea nel suo intervento Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali: “La previdenza complementare non si è configurata come un ‘pensiero dominante’ né per le parti sociali, né per la politica. Ne è un esempio il fatto che è ancora uno strumento con la tassazione annuale e non a riscatto, come avviene ad esempio per i fondi comuni”. L’idea di creare un framework normativo che agevolasse l’accesso al settore ha radici ormai lontane. “La domanda che ci si è posti al momento della riforma della previdenza complementare (con il Dlgs 252/2005, .ndr) è stata: complementare a che cosa?”, continua Brambilla, che riporta come il calcolo sia legato al tasso di sostituzione (ossia il rapporto tra prima rata di pensione e l’ultimo o gli ultimi anni di reddito) che già oggi si ferma al 58-60%”. Il tasso di sostituzione, tuttavia, dipende e si somma anche a diversi fattori che vanno a incidere sul netto in portafoglio dei pensionati, come l’andamento del PIL e l’aspettativa di vita: “L’Italia è al primo posto in Europa per quota di ultra 65enni e di ultra 80enni”, ricorda l’esperto, sottolineando come il 33% delle famiglie siano ormai mononucleari “e più si invecchia, più si ha necessità di assistenza”.

Nel corso della tavola rotonda moderata da Davide Gatti, responsabile divisione retail & private di Anima, parla invece di “illusione ottica”, Sergio Corbello presidente di Assoprevidenza che ricorda come molte delle adesioni alla previdenza complementare non corrispondano a vere posizioni previdenziali. Esiste dunque un problema reale di adesioni con cui non collima un percorso concreto di costruzione della posizione previdenziale. Problema a cui può dare una soluzione l’attività dei consulenti. Almeno, è quanto suggerisce Paolo Pellegrini, vicedirettore generale di Mefop, che ricorda come, anche alla luce dei dati presentati da Anima, i professionisti della consulenza si trovino di fronte a “un mercato da ‘aggredire’. Tuttavia la previdenza complementare non è un prodotto semplice: bisogna spiegare e dare contezza alle persone delle loro necessità future”. Senza dimenticare, conclude l’esperto, che l’arduo compito riguarda anche quanti sono già iscritti a forme di previdenza complementare: “Si pensi ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti che, in alcuni casi, non hanno risorse o hanno scarso interesse a mantenere la posizione, per cui è necessaria anche una ‘gestione del cliente’ al fine di mantenere il beneficio fiscale e la costruzione di una pensione complementare nel lungo periodo”.