Private banking e tecnologia, un rapporto ‘odi et amo’

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Giorgio Fata

Odi et amo cantano i versi di Catullo per esprimere due sentimenti forti ed opposti in grado di convivere insieme. Un po’ come il rapporto che oggi si è creato tra tecnologia e private banking, due grandi fenomeni le cui strade si sono ineluttabilmente incrociate. Se da un lato il private banking in Italia sta crescendo a tassi elevati, dall’altro stiamo assistendo all’invecchiamento della clientela che deve fare i conti con la digitalizzazione del mondo, e quindi anche del sistema finanziario. In questo settore la tecnologia tende a spaventare, perché diventa disruptive e complice della scomparsa di molti mestieri, ma al tempo stesso diviene il principale driver del suo sviluppo ed efficientamento.

Si pensa a volte che la tecnologia nell’ambito del wealth management possa allontanare i clienti private, o perché intimoriti dal processo di digitalizzazione, o al contrario perché, affascinati dal mondo del robo-advisor, decidano poi di cimentarsi nell’investimento in autonomia. In realtà tecnologia e private banking possono coesistere, purché l’una a supporto dell’altro. “Dobbiamo fare in modo che la tecnologia non sia invasiva per i clienti, ma possa diventare un elemento che riduca l’operatività del banker e la semplifichi, guadagnando così più tempo per la relazione”, commenta Massimiliano Nannetti responsabile Coordinamento Rete Private Banking di Banca Aletti.

“Oggi, infatti, dobbiamo non tanto puntare a dotare i clienti di strumenti evoluti che possano dare loro la possibilità di essere completamente autonomi, ma dobbiamo fare in modo che la tecnologia sia a supporto dei banker. Attualmente si nota ancora una certa rigidità da parte di questi ultimi. La sfida è quella di trasmettere ai nostri banker il reale vantaggio di porre in essere un’operatività maggiormente digital, migliorare la propria customer experience e ridurre costi e possibili errori operativi”, dichiara Enrico Vacca, head of Private banker di Deutsche Bank. “Nel momento in cui il cliente prende coscienza del fatto che può dar vita a ragionamenti articolati e ad attività di consulenza con un semplice click, si entra finalmente in una nuova dimensione, dove non si è più spaventati dalla digitalizzazione, che permette di sostituire la burocrazia caratterizzata da carte e incontri periodici”, continua Nannetti.

C’è chi ritiene invece che nonostante l’invecchiamento della popolazione sia ormai un fenomeno assodato, la clientela private è comunque in grado di usare la tecnologia, piuttosto “spetta alla banca ragionare su quali processi vuole digitalizzare, di conseguenza si potrà poi capire cosa dovrà fare il banker e come dovrà gestire la relazione”, ha spiegato Francesco Velluti, responsabile Marketing e Rete di Intesa Sanpaolo Private Banking. “Alcune cose verranno demandate direttamente al cliente, altre più importanti e tecniche rimarranno in capo al consulente. È invece più importante sapere come i banker si stanno approcciando alla tecnologia, dato che spesso mostrano maggiori difficoltà rispetto ai clienti”, conclude.

La digitalizzazione del settore sarà dunque un processo graduale che condurrà sempre di più verso una nuova interpretazione del ruolo di private banker. “In un contesto competitivo dove la tecnologia avanza, il quadro normativo e le caratteristiche generazionali stanno cambiando sempre più velocemente, anche i nuovi clienti private potranno essere attratti da piattaforme come i robo-advisor. Dobbiamo lavorare affinché il banker sia sempre più gestore di relazione e meno gestore di portafoglio”, spiega Vacca.