Il 2018 è l’anno del rialzo dei tassi, soprattutto negli Stati Uniti. Lo sanno bene gli investitori obbligazionari che quest’anno dovranno fare i conti con una politica monetaria americana più aggressiva (basta ricordare il discorso del neo eletto presidente della Fed Jerome Powell) e con un cambio graduale di rotta della banca centrale europea. Se da un lato, infatti, il Qe ha portato i tassi ai minimi storici, riducendo la protezione del capitale implicita nelle cedole dei bond, dall’altro quest’anno si sono registrate le prime avvisaglie di un aumento dell’inflazione che di conseguenza spingono verso un rialzo dei tassi di mercato. In questo contesto, cosa deve fare un investitore? Su cosa deve concentrarsi, se vuole comunque avere una componente del proprio portafoglio investita in obbligazioni?
Europa vs America
Come dice Carlo Bodo, responsabile obbligazionario di Ersel AM, in primo luogo bisogna fare una chiara distinzione: “il contesto europeo è nettamente diverso da quello americano. È vero che storicamente il rialzo dei tassi americani ha sempre influenzato negativamente anche i tassi europei, ma nel Vecchio continente la Banca centrale è ancora orientata a politiche monetarie espansive, anche se le previsioni sono per un flusso di acquisti in diminuzione, probabilmente già sul finire del 2018 e comunque nel corso del 2019”. Proprio per questo la casa di gestione torinese preferisce l’Europa: “meglio evitare in questo momento l’investimento obbligazionario nell’area statunitense, dove le prospettive sul tasso sono nettamente sfavorevoli” continua Bodo.
In Europa, poi meglio concentrarsi sulla perfieria. Qui “ci sono ancora rendimenti accettabili, se pesati per il rischio. Le elezioni italiane non hanno dato l’esito migliore per il mercato, in quanto è difficile creare un governo stabile e duraturo con questo esito elettorale, ma la situazione sembra essere sufficientemente fluida da non pregiudicare il buon andamento dell’investimento nella periferia europea, che è la principale beneficiaria delle politiche espansive della Banca centrale”, spiega l’esperto. “Altro grande beneficiario delle politiche monetarie della BCE è ovviamente il credito, che però in un periodo come quello che ci attende di rialzo dei tassi potrebbe iniziare a soffrire: in questo contesto il settore meglio posizionato sembra essere quello bancario e assicurativo, perché la leva dei tassi dovrebbe migliorarne i fondamentali”.
Dalla duration alla componente valutaria
Una volta individuata la migliore area geografica per chi vuole investire in obbligazioni, ci sono altri elementi da valutare. Uno da guadare con grande attenzione per il manager è senz’altro la duration del portafoglio. “È fondamentale tenere una duration bassa, per evitare perdite in conto capitale nel corso del periodo d’investimento”. Inoltre in questo momento la componente valutaria presente in portafoglio può rappresentare un elemento di rischio. “Dall’inizio dell’anno, le divise G10 hanno quasi tutte sottoperformato l’euro, con la sola eccezione dello yen giapponese e della corona norvegese. In particolare il dollaro, che ha spesso rappresentato una fonte di diversificazione in un portafoglio obbligazionario, oggi rappresenta un elemento di rischio da tenere in considerazione, in quanto l’amministrazione americana sembra intenzionata a utilizzare la leva del cambio come una delle vie per continuare a crescere e le politiche fiscali attuate da Trump con il loro impatto sul deficit ne sono la prova più evidente. Pertanto, se si desidera diversificare fuori dall’Europa, alla ricerca di rendimenti superiori, bisogna considerare il costo della copertura valutaria. In tal senso, ci sembra ancora interessante, al netto della copertura valutaria, l’obbligazionario emergente, in particolare il debito dei cosiddetti ‘frontier markets’, ossia quei paesi minori presenti nell’indice dei Paesi emergenti.
Ok agli strumenti ABS
Per l’esperto di Ersel AM, una quota di un portafoglio bond andrebbe infire riservata a strumenti come gli ABS (asset backed securities), in particolare in Europa e Gran Bretagna. “Questi prodotti hanno dimostrato negli ultimi anni di non essere correlati all’andamento dei tassi – perlomeno dal 2008 in poi con la profonda ristrutturazione che il settore del credito strutturato ha subito – e debolmente correlata all’andamento del credito in generale. Un elemento non trascurabile di questo tipo di investimento è poi il fatto che sia indirettamente agganciato all’economia reale, quindi dovrebbe beneficiare del miglioramento macro che l’area europea sta vivendo, piuttosto che soffrire della riduzione delle misure straordinarie di politica monetaria previste nei prossimi anni”.