Quale livello di rendimento dei Treasury sarebbe pericoloso per il rally azionario?

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Le misure monetarie e fiscali attuate dalle Banche Centrali e dai Governi per alleviare la crisi COVID-19 hanno funzionato. Infatti, i piani di stimolo nelle economie occidentali hanno contribuito al 13% del loro PIL, quando nella precedente grande crisi, quella finanziaria del 2008, questa cifra non ha raggiunto nemmeno il 6%. Tuttavia, questo eccesso di liquidità nel sistema, assieme alla prevista ripresa economica sulla scia della campagna di vaccinazione globale sono due delle cause del significativo ritorno dell'inflazione che si è verificata nella prima metà dell'anno.

Il timore ora è che questo rialzo non sia solo un movimento a breve termine, ma che sia sostenuto nel tempo a tal punto da provocare un cambio di rotta da parte delle Banche Centrali sotto forma di tapering. E soprattutto, la preoccupazione è che questo ritiro dello stimolo monetari, se dovesse avvenire, giungerebbe troppo presto, causando un nuovo taper tantrum.

La Fed per il momento ha negato che i suoi piani a breve termine includano una riduzione del QE, ma questo non ha fermato gli investitori dal continuare a vendere le loro posizioni obbligazionarie statunitensi, nell'incertezza timori di una svolta di politica monetaria da parte del più grande istituto centrale. Per esempio, il Tnote è passato da un rendimento dello 0,9% all'1,68% e il titolo di stato americano a cinque anni dallo 0,37% allo 0,87%.

L'AZIONARIO SI MANTIENE ATTRATTIVO

Una movimento che ha portato molti investitori a chiedersi se questo aumento dei rendimenti del reddito fisso americano potrebbe finire per avere un impatto negativo sul mercato azionario. Soprattutto a fronte di valutazioni sempre più elevate. Infatti, è proprio questo ritorno dell'inflazione che ha portato ai cali registrati sui listini mondiali negli ultimi giorni. Tuttavia, sebbene gli esperti credano che un consolidamento del mercato sia più che possibile, non prevedono una correzione, perlomeno finché le obbligazioni resteranno ai livelli attuali.

"Nonostante i recenti timori che l'aumento dei rendimenti [obbligazionari] possa far deragliare i mercati azionari, crediamo che il supporto sottostante rimanga", dice Esty Dwek, head of Global Macro Strategy di Natixis IM. E all'interno di questo supporto vi sono solidi utili aziendali, l'accelerazione della campagna di vaccinazione del secondo trimestre, il sostegno fiscale e monetario e la liquidità del mercato.

IL 2% È LA LINEA ROSSA

Questo da un punto di vista strategico, ma da un punto di vista tattico, a quale quota dei rendimenti dell'obbligazionario statunitense si potrebbe iniziare a vedere una rotazione dalle azioni al reddito fisso? Bob Michele, global head of Fixed Income, Foreign Exchange and Commodities di J.P. Morgan AM situa questa soglia a non prima del 2%. "Pensiamo che gli investitori accetterebbero un aumento di circa il 2%, se è diffuso nei prossimi trimestri", dice.

Un livello con cui Luca Paolini, chief strategist di Pictet AM, è d'accordo. Crede che mentre il mercato è ipervenduto all'1,8%, "se è sopra il 2%, è un mercato attraente". Tuttavia, avverte che "il vero problema per le azioni può arrivare al 2,5%-2,7%, quando potrebbe essere strategico uscire dalle azioni per investire in queste obbligazioni. Ma non ci aspettiamo che questo accada", afferma.

In effetti, il 2% è anche il livello che i gestori di fondi dicono essere una preoccupazione, secondo l'ultimo sondaggio dei gestori di Bofa Securities. In particolare, il 47% degli intervistati crede che raggiungere quel livello porterebbe a una correzione del 10% nel mercato azionario. Tuttavia, quando viene chiesto il livello al quale le obbligazioni sarebbero più attraenti delle azioni, la risposta della maggioranza è 2,3%.