Dall'azionario area euro, ai Paesi emergenti, fino all'obbligazionario high yield e ai multi-asset. La fotografia dell'evoluzione dell'asset management scattata da Simone Calamai, ad di Fundstore.
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Il 2016 sarà ancora l'anno dei fondi flessibili in scia a quanto avvenuto nel 2015, quando a farla da padrone erano stati proprio i fondi a strategia mista, multi-asset e multi-strategy, oltre all'obbligazionario high yield. Non si arresta quindi il fascino per i prodotti multi-asset, una moda cominciata nel 2014, quando molti risparmiatori italiani si erano avvicinati a questi strumenti, cercando una via d’uscita per avere rendita ma anche protezione, flessibilità e diversificazione. Il 2014 però era anche l'anno dell'azionario Paesi emergenti, mentre il 2013 era quello dell'azionario area euro.
Prosegue la mania dei fondi flessibili
A tracciare il trend delle asset class più gettonate degli ultimi anni è Simone Calamai, amministratore delegato di Fundstore, che ha spiegato che di solito ogni 12-18 mesi c'è una sorta di rotazione. “Ora però siamo ancora nel periodo dei fondi flessibili”, prosegue Calamai, che ricorda che si tratta di strumenti che, rispetto ai prodotti tradizionali, danno un ampio mandato al gestore, che ha la possibilità di muoversi con grande indipendenza tra le varie asset class.
Proseguendo sui prodotti in voga o meno in questo periodo, Calamai aggiunge: “C'è tanta incertezza e non c'è un trend ben definito. In ogni caso, già da un po' di tempo abbiamo visto che il fondo obbligazionario tradizionale sostanzialmente non esiste quasi più nei portafogli dei risparmiatori”. Il motivo è facile da spiegare, i bassi rendimenti dei bond rendono questi strumenti poco attraenti agli investitori, che per diversificare ricercano anche prodotti di nicchia.
“Su Fundstore, vista la qualità media piuttosto elevata dei nostri interlocutori-clienti, c'è tanta attenzione anche per prodotti 'particolari', che investono in settori anche molto specifici o su aree geografiche ben delimitate”, conferma l'amministratore delegato. E il riferimento va per esempio al settore healthcare, o a quelli delle biotecnologie, nanotecnologie etc. “Si arriva a una granularità incredibile, anche se la maggior parte degli investitori continua a sottoscrivere i prodotti tradizionali - prosegue Calamai - Infatti, i fondi super specializzati sono per lo più prodotti per un gestore di fondi che deve procedere a un'ampia diversificazione che non per un investitore fai-da-te”. Se si passa agli strumenti tradizionali, analizzando i trend o i settori del momento, “stante la congiuntura attuale, oggi i fondi relativi alle materie prime sono abbastanza passati di moda, mentre qualcosa stiamo vedendo, ma con selezione, sugli obbligazionari high yield, quindi sui bond un po' più speculativi. Se invece si guarda all'area geografica, i fondi focalizzato sull'Europa sono ancora i preferiti, perché investono in un'area a noi più vicina e sono privi del rischio valuta”, aggiunge Calamai.
Il bilancio di Fundstore
“Il 2015 è stato un ottimo anno rispetto al 2014, che a sua volta lo era stato rispetto al 2013. Ad oggi, abbiamo circa 5.000 clienti, con 300 milioni di euro di masse”, dichiara l'amministratore delegato di Fundstore, marketplace che oggi può contare su oltre 140 società di gestione, italiane ed estere. Il portale si rivolge a due tipologie di utenti: gli investitori individuali residenti in Italia, cioè i clienti finali, e i soggetti che, alla luce della normativa Mifid, sono autorizzati a svolgere l’attività di consulenza finanziaria. Dal 2000 (data in cui è nato Fundstore) ad oggi, la raccolta spontanea (cioè fatta da un risparmiatore e un investitore senza che nessuno gli abbia detto di comprare o di fare qualcosa) è cresciuta molto, anche se rappresenta ancora una nicchia. “Nel corso degli anni, si è allargata la platea degli investitori indipendenti e dei risparmiatori fai-da-te anche se la raccolta spontanea si aggira nell'ordine di pochi punti percentuali rispetto alla raccolta totale, che è governata dall'offerta tradizionale, quindi dalle banche e dalle reti di promozione finanziaria”, spiega Calamai. C'è quindi una sorta di avanguardia che, un po' per conto proprio un po' magari attraverso qualche consulente finanziario, decide di gestire i propri risparmi in maniera più autonoma sul web, ma questi investitori sono sempre una nicchia piuttosto ristretta rispetto alla totalità dei risparmiatori.
Molto dipende poi anche dai mercati. “Per tutto ciò che concerne risparmi e investimenti, registriamo tassi di crescita superiori quando i mercati vanno bene e viceversa, anche se recentemente abbiamo visto che, a differenza di quanto succedeva qualche anno fa, non esiste più il contrario, cioè quando i mercati stornano anche in maniera importante non esiste l'effetto panico, per cui la gente usciva dagli investimenti. E questo probabilmente ha a che vedere anche con il fatto che la nostra clientela è mediamente più consapevole e quindi tiene la situazione un po' più sotto controllo rispetto alla media”, prosegue Calamai, che interpellato sul rapporto consulente-investitore, risponde: “La storia anglosassone è un grande esempio; le piattaforme di distribuzione sono il complemento perfetto per l'attività di un consulente, perché da una parte c'è un professionista che fa l'analisi ed elabora la ricetta per un cliente, dall'altra parte c'è lo stesso cliente al quale il consulente ha elaborato la ricetta che poi deve metterla in pratica”.