Saint-Georges (Carmignac), la distanza tra finanza e economia reale messa in luce dall’emergenza Coronavirus

Didier Saint-Georges
Didier Saint-Georges, membro del Comitato Strategico di Investimento e Managing Director, Carmignac

Sacrificare l’attività economica in nome della salute pubblica. Questa la drammatica scelta a cui già si trova di fronte l’Italia e che potrebbe riguardare a breve l’Europa e il mondo intero dopo che l’Organizzazione mondiale della sanità ha alzato il livello dell’attuale emergenza riguardante la diffusione del Coronavirus al rango di pandemia. Un quadro che impone profonde riflessioni sul funzionamento del sistema economico-finanziario nel suo complesso nel tentativo di gestire al meglio un movimento al ribasso delle Borse del Vecchio Continente, ma non solo, che per entità e durata è paragonabile a quello delle più importanti crisi finanziarie dal dopoguerra a oggi.

“Nessuno ancora può dire quale sarà l’impatto economico globale della crisi sanitaria provocata dal Covid-19”, premette Didier Saint-Georges, membro del Comitato Strategico di Investimento e Managing Director di Carmignac. “Non sapendo quanto potrebbe estendersi la pandemia, l’opinione pubblica esige dalla classe dirigente misure molto forti, a prescindere dal costo economico. I governi sono chiamati ad agire. Alla sfida sanitaria si aggiunge quella della capacità politica delle democrazie di gestire efficacemente un virus altamente contagioso, come ha fatto, anche se tardivamente, il governo cinese”, aggiunge.

Interpretare l’emergenza

Questa la premessa da cui partire per analizzare le attuali possibilità di intervento e quanto sta accadendo agli andamenti degli asset finanziari in modo da tale da arrivare ad elaborare una strategia e un posizionamento adatto alla gestione dell’emergenza in atto. “Lo scenario di base sul quale la maggior parte degli economisti oggi concorda è che lo shock economico immediato sarà violento, come lo è ora in Cina, ma transitorio”, analizza il manager. “Ricordiamo che questa epidemia costituisce uno shock esterno e non endogeno. Infatti, contrariamente alla crisi finanziaria del 2008, la situazione attuale non è il risultato di un profondo squilibrio economico, le cui ramificazioni sistemiche sarebbero per loro stessa natura complesse e prolungate. In questo senso, la crisi attuale richiama piuttosto ciò che accadde all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001, l’epidemia di SARS del 2003 o lo tsunami del 2011, le cui ripercussioni sull’economia furono gestite efficacemente con l’arsenale classico degli strumenti monetari e finanziari”, entra nel dettaglio.

Il contesto economico-finanziario di partenza ha però dei caratteri di peculiarità che devono essere tenuti in considerazione. “L’emergenza coronavirus coincide con un contesto di crescita economica globale debole, in leggera ripresa ciclica solo da alcune settimane, politiche monetarie già estremamente accomodanti e borse stimolate artificialmente da dieci anni”, fa notare Saint-Georges. Le Banche centrali, in particolare, hanno incoraggiato gli investitori a rivolgersi sempre più verso gli asset più rischiosi, azioni e obbligazioni corporate in primis attraverso le politiche di tassi bassi e allentamento quantitativo. “Con la loro persistente incapacità di contrastare il trend al ribasso della crescita e dell’inflazione, gli istituti di politica monetaria, giustificando così il proseguimento della loro politica monetaria non convenzionale, hanno continuato ad alimentare l’apprezzamento dei mercati azionari. In più, la finanziarizzazione delle economie sviluppate ha reso queste ultime ostaggio del dinamismo dei mercati”, afferma il membro del Comitato Strategico di Investimento e Managing Director dell’asset manager francese. In questo contesto il rapporto fra politica e finanza necessita, secondo Saint-Georges, di una fondamentale riconciliazione che anteponga all’interesse particolare, di natura fondamentalmente di consenso e dunque elettorale, un’azione congiunta in grado di contrastare efficacemente effetti che non potranno che avere scala globale interessando crescita e catena del commercio globale.

Esiste un posizionamento coerente all’attuale situazione?

Per la prima volta dal 2008 per gli Stati Uniti e dal 2012 per l’Europa, si afferma il rischio di una forte frenata dell’economia, che metterà a dura prova l’efficacia delle armi classiche. A causa della dipendenza dell’economia dai mercati, quantomeno in termini di effetto ricchezza e di fiducia, la credibilità dei governi e delle Banche centrali diventerà rapidamente decisiva. Oggigiorno sono i mercati a orientare in larga misura l’economia e non viceversa. Se i mercati si riprenderanno rapidamente, perché si convinceranno che le Banche centrali hanno ancora “molte frecce al loro arco”, che i governi possono ancora coordinarsi efficacemente e che una correzione transitoria, come da dieci anni a questa parte, non è altro che il punto minimo di una tendenza globalmente al rialzo, allora la fiducia potrà avere un valore “autorealizzante” e i mercati si saranno spaventati in modo immotivato. Se invece ci si renderà conto che le armi abituali hanno perso credibilità, visti i livelli già raggiunti dai tassi di interesse e dai deficit di bilancio, la medesima logica “autorealizzante” trascinerà la crescita verso il basso. I mercati del credito, che negli ultimi dieci anni sono stati i principali beneficiari degli ingenti flussi di denaro, saranno forse gli indicatori più affidabili, che dovremo osservare come un canarino in una miniera di carbone”.

L’esito binario prospettato da Saint-Georges tiene conto di un’eccezionalità del mercato americano ancora in essere, che beneficia, oltre che di fattori economico-finanziari sedimentati nel tempo, di una maggiore spazio di intervento da parte di Federal Reserve e Governo utlizzabile con decisioni di natura unilaterale.

“In attesa di una risposta, che nessuno sa quando giungerà”, conclude Saint-Georges, “l’atteggiamento razionale per gli investitori è quello di limitare i rischi portandoli a livelli moderati, verificare la concreta e reale capacità di generare profitto dalle azioni detenute in portafoglio e investire parte del risparmio in asset legati al prezzo dell’oro, nell’eventualità di un crollo della fiducia”.