EY: l’impatto di Mifid II sulle scelte strategiche di banche distributrici e asset manager

L’introduzione di Mifid II ha visto un adeguamento normativo differente all’interno dei singoli Stati membri, con dinamiche che hanno impattato sulle scelte strategiche di banche distributrici e asset manager inducendoli a trasformare il proprio modello di business e la propria offerta. La tematica è stata al centro di un’indagine di EY, “Il futuro della distribuzione dei fondi negli scenari post MiFID II”, presentata in occasione dell’11^ edizione del Salone del Risparmio. Lo studio ha approfondito l’interpretazione dei requisiti regolamentari all’interno dei principali mercati europei (Italia, Germania, Francia, Olanda, Lussemburgo, Paesi Nordici e Svizzera, quest’ultima pur non sottostando alla normativa MiFID II ne è comunque influenzata) e, secondo quanto evidenziato da Giovanni Andrea Incarnato, Italy Wealth & Asset Management leader di EY, ha messo in luce “distinte implicazioni” per asset manager e banche distributrici. “Per quanto riguarda gli asset manager – ha detto Incarnato –, l’adeguamento alla normativa ha portato in particolare alla revisione della gamma prodotti in collocamento. Inoltre, ha favorito la stipula di accordi con piattaforme in grado di semplificare la complessità operativa, con conseguente riduzione dei costi per la gestione dei prodotti”. Diverso il riflesso sull’azione delle banche distributrici, per cui l’applicazione dei requisiti MiFID “ha portato alla trasformazione delle logiche di creazione dei prodotti e governance per rispondere alla maggiore attenzione da parte degli organismi di vigilanza dei vari Paesi. Ha, inoltre, determinato la differenziazione della gamma fondi in relazione al modello di servizio offerto in base al segmento di clientela di destinazione, nonché un’evoluzione dei modelli di adeguatezza e dei sistemi di raccolta dei bisogni dei clienti”.

Adeguamento normativo

Sul fronte dell’adeguamento normativo, i requisiti Mifid sono stati applicati in maniera diversa nei vari Paesi, coinvolgendo l’analisi costi/benefici, i prodotti equivalenti e il target market. EY fa notare come l’interpretazione data dagli organi di vigilanza sui requisiti degli switch sia stata diversificata. Nel nostro Paese, ad esempio, Consob ha dato molto peso ai controlli quantitativi automatici negli applicativi per gli switch dei fondi, implementati da oltre il 75% degli intermediari finanziari, questo però non ha impattato molto sui costi upfront dei prodotti. Nel commentare questo passaggio, Michele Trimarchi, senior manager Financial Services di EY, che ha sottolineato come dall’analisi sia emerso che “un impatto sulle commissioni upfront in Italia c’è stato, con una riduzione delle commissioni di sottoscrizione e switch, ma allo stesso livello di quello degli altri Paesi”, che non si sono impegnati su questo fronte. I prodotti equivalenti invece hanno visto quasi tutti i Paesi europei (tranne il Lussemburgo) dotarsi di processi per la valutazione ex ante, in questo caso ci sono stati impatti rilevanti su prezzo e classi dei fondi collocati. La Francia si è focalizzata più dell’Italia su questo tipo di analisi e sta estendendo il focus al “value for money” dei prodotti. L’applicazione delle regole sul target market si è invece rivelata più omogenea in Europa. La maggior parte degli intermediari ha previsto controlli automatici che bloccano la sottoscrizione dei prodotti in target market negativo (Italia e Svizzera) e alcuni Paesi (Germania, Francia e i Paesi Nordici) valutano anche il target market “grey”.

Modelli di business

L’evoluzione dei modelli di business è stata eterogena tra i vari Paesi. In alcuni casi si è assistito a un incremento nel numero degli accordi (Germania), in altri a una riduzione del numero di controparti a catalogo (Francia, Paesi Nordici e Olanda). Il caso italiano è particolare, in quanto gli intermediari hanno adottato strategie diverse: alcuni hanno ridotto il numero di accordi e altri lo hanno incrementato.

L’analisi ha incluso anche l’utilizzo di piattaforme B2B per la gestione degli accordi di collocamento, è emerso come questa soluzione sia utilizzata dalla quasi totalità delle banche distributrici in Svizzera e sempre più operatori stiano adottando questa soluzione anche in Italia e Lussemburgo.

La ricerca di EY fa notare come l’introduzione di MiFID II abbia determinato una “polarizzazione” negli approcci tra gli operatori che hanno deciso di adottare le clean share class (ossia le classi senza commissioni) e quelli che si stanno orientando nella direzione opposta. In Svizzera, Lussemburgo e Olanda la quasi totalità degli intermediari ha inserito a catalogo la classe clean sia per gli investitori retail sia per quelli private, mentre l’Italia continua a destinare queste classi esclusivamente ai clienti istituzionali.

I PRODOTTI ESG

Sul fronte della sostenibilità ci si trova davanti alla sfida di capire le esigenze dei clienti e raccogliere le informazioni sui bisogni specifici, “perché da questo dipende la composizione del mix di prodotti sostenibili”, ha sottolineato Incarnato richiamando come, a seguito degli oneri operativi connessi all’entrata a regime della normativa SFDR, “il mix di prodotti sostenibili, dovrà essere non soltanto una scelta di posizionamento commerciale, ma anche una valutazione interna di quanto si è in grado di gestire tali oneri”. Dall’indagine EY emerge che l’integrazione delle variabili ESG è già consolidata in paesi come Francia e Paesi del Nord Europa, in termini sia di utilizzo del set informativo previsto dal tracciato EMT (European MiFID Template) sia di uso di provider esterni a supporto dell’elaborazione di rating di portafoglio. Nel confronto europeo l’Italia si posiziona in fondo alla classifica, e gli operatori si trovano oggi costretti ad accelerare il percorso di integrazione delle logiche ESG.