Per corroborare la tesi, l'esperto si rifà a un modello neoclassico di pricing e sottolinea che "il controllo di questa ipotetica bolla spetterebbe alle autorità monetarie e non alla regulation macro-prudenziale".
Quando gli operatori ritengono che un mercato - di solito quello azionario - sia salito per troppo tempo o si sia attestato a livelli troppo elevati, ecco che riaffiora il concetto di ‘bolla finanziaria’. Ma come si formano e come scoppiano le bolle di mercato? A dare una spiegazione e a tracciare un quadro della situazione attuale è Alessandro Tentori, chief investment officer di AXA Investment Managers Italia.
Non tutte le bolle sono uguali
Come prima cosa, l’esperto fornisce una definizione più precisa del concetto di ‘bolla’ che riassume nel “paragone tra il valore fondamentale e il valore di mercato di un asset”. Purtroppo continua, “il valore fondamentale non è direttamente osservabile sui monitor” e deve essere dunque stimato con un modello di asset pricing. Quelli più utilizzati si differenziano tra loro per le ipotesi sottostanti: aspettative razionali, preferenze omogenee, informazione simmetrica e fluidità di mercato.
I modelli che la letteratura finanziaria fornisce vanno da quelli neaoclassici di mercato efficiente a quelli che presentano diversi limiti di arbitraccio, fino ad arrivare ai modelli comportamentali di nuova generazione, “dove la razionalità degli agenti economici non è più richiesta”, puntualizza Tentori. “Si può e si deve, quindi, fare una distinzione tra bolle razionali, comportamentali ecc”.
Lo scenario attuale
Per illustrare la situazione attuale, Tentori si rifà a un semplice modello neoclassico di pricing. “Concettualmente”, spiega, “il prezzo di un asset senza data di scadenza è composto dal valore fondamentale, per esempio il valore attuale delle cedole o dei dividendi, e dal valore della componente ‘bolla’”. Affinché una bolla possa esistere senza scoppiare è sufficiente che il tasso di crescita del valore della bolla sia uguale al tasso di sconto del mercato (il tasso risk-free a breve termine, ad esempio). Se il valore della bolla dovesse aumentare, superando il tasso risk-free, per via, ad esempio, di una politica troppo espansionistica della Banca centrale, il valore della bolla sarebbe infinito ed essa non potrebbe esistere (o sarebbe destinata a scoppiare).
“Dal 1999 al 2007 nell’Eurozona il tasso reale di crescita dell’economia era in media del 2,3%. Il mercato obbligazionario ha reso 2,1% in media, quindi in linea con la crescita reale e con un ipotetico tasso di sconto generale (il tasso reale EGB era 2% in media)”, spiega Tentori. In questo contesto, quindi, la componente bolla cresceva a un tasso inferiore rispetto al tasso di sconto e il suo valore attuale era zero.
Facendo lo stesso calcolo per il periodo post “whatever it takes” il quadro risultante è decisamente meno rassicurante: “Dal 2012 a oggi, l’economia dell’Eurozona è cresciuta dell’1,1% in media, con un rendimento reale del mercato obbligazionario del 3,8% annuo. Il tasso reale del mercato risk-free, invece, è in netto contrasto con un rendimento medio del 0,2%”. Sono numeri da cui traspare, a detta dell’esperto, “una probabilità non insignificante che esista una bolla obbligazionaria nella zona euro”, la cui causa è da ricercarsi probabilmente in una politica monetaria non convenzionale da parte della BCE. “Il controllo di questa ipotetica bolla obbligazionaria spetterebbe alle autorità monetarie e non alla regulation macro-prudenziale, che in passato ha svolto un lavoro egregio nel contenere i rischi a livello di sistema previdenziale e bancario”.