“In termini di rendimento totale, probabilmente oggi sono più ottimista nei confronti del reddito fisso di quanto sia mai stato in tutta la mia carriera, e ho cominciato a lavorare nel fixed income verso la fine degli anni ’90” commenta Vivek Bommi, gestore obbligazionario di Alliance Bernstein. “Intorno a me vedo un certo pessimismo, ma bisogna ricordare che in passato abbiamo vissuto situazioni decisamente peggiori, per esempio nel 2001, quando lo scoppio della bolla del Nasdaq ha fatto impennare la disoccupazione al punto da innescare una vera e propria recessione, oppure nel 2007 col fallimento di Bear Stearns o nel 2008 con Lehman Brothers. Oggi la situazione è perfino di gran lunga migliore che nel 2009, benché i rendimenti si trovino ai livelli quasi raggiunti quell’anno. Poi nel 2011 c’è stata la crisi del debito della Grecia: oggi gli spread si aggirano sui livelli di quei tempi, anche se la situazione è nettamente migliore”. Secondo Bommi stiamo attraversando un ciclo sostanzialmente normale che però forse è il migliore da parecchio tempo. “E nonostante la guerra, che è stata senz’altro uno dei problemi principali, i tassi si trovano su livelli che gli investitori hanno solo sognato per diversi anni. Negli ultimi anni il lavoro del gestore obbligazionario in Europa è stato piuttosto deprimente, a causa dei rendimenti pari a zero o perfino negativi, tanto che secondo uno studio Deutsche Bank, il 2022 è stato l’anno peggiore per l’obbligazionario dal 1700. Detto questo, la previsione di un tasso terminale del 5% circa negli USA e del 3% circa in Europa non può essere troppo lontana dal vero. Pertanto, i rendimenti non potranno salire ancora molto e dovrebbe verificarsi una riduzione della volatilità, sia dei tassi sia in ambito fixed income”. Per quanto riguarda gli spread, Bommi ritiene si trovino su livelli piuttosto buoni sia per l’investment grade, dove sono tornati ai livelli del 2011 nell’euro IG, sia per l’high yield. “Non dimentichiamo che nel 2011 molti pensavano che Italia e Grecia sarebbero uscite dall’euro, cosa che poi non si è verificata, perciò ritengo che la situazione non sia poi così negativa, anzi, penso che con queste premesse, stiamo andando incontro a ritorni molto robusti, soprattutto per il credito dei mercati sviluppati. Allo stesso tempo, meglio usare cautela nei confronti di certe aree, come i mercati emergenti, che non sono favoriti da un contesto di dollaro forte, rallentamento della crescita e aumento dei tassi. Anche i costi delle coperture negli USA e in Europa rappresentano un problema, quindi gli investitori europei sono praticamente costretti a operare sui mercati locali”.
Secondo Bommi anche se l’investment grade sembra ben posizionato, il rendimento totale probabilmente non sarà molto alto, perché i tassi non stanno ancora scendendo. “Infatti” argomenta il manager, “le obbligazioni investment grade per generare ritorni elevati hanno bisogno di due elementi, un calo degli spread di credito e un calo dei tassi. Gli spread vanno incontro a una leggera compressione, ma il quadro dei tassi non è favorevole. Il vero protagonista l’anno prossimo sarà l’high yield, senza ombra di dubbio. La storia ci insegna che quando le obbligazioni high yield statunitensi o globali offrono rendimenti vicini al 9% finiscono sempre per sovraperformare le azioni a 12 mesi. Vale anche per l’S&P 500. Le obbligazioni HY europee offrono rendimenti del 9% e sono sostanzialmente convinto che l’anno prossimo batteranno le azioni in virtù della correlazione tra le due asset class. Molti investitori evitano questo segmento ma, in un contesto di brusca frenata della crescita e di rallentamento più moderato dei P/E, i titoli high yield ci sembrano favoriti in termini di rendimento totale”. Nonostante l’ottimismo, il gestore ritiene doveroso prendere in considerazione tutti i rischi possibili. “Da una parte c’è il rischio che le previsioni sui tassi siano sbagliate. Un anno fa, ad esempio, i mercati si aspettavano ancora che i tassi dell’Eurozona sarebbero rimasti pari a zero o negativi, adesso prevedono un tasso del 3%. Ma se tra un anno il tasso di riferimento europeo sarà del 5% anziché del 3%, saremo nei guai. Lo stesso vale per gli USA: un anno fa i mercati scontavano un tasso del 2%, e adesso si aspettano il 5%. Se tra un anno i tassi americani saranno saliti al 7%, la volatilità sarà molto più alta. D’altro canto, uno scenario simile si avrebbe probabilmente solo in presenza di una crescita economica molto robusta, che potrebbe controbilanciare i rialzi dei tassi. L’altro rischio è legato a un calo dei tassi dovuto a una forte diminuzione della crescita economica. In questo momento il consenso prevede una recessione in Europa e una contrazione più modesta negli USA. Se invece la recessione sarà più pesante, la situazione peggiorerà ancora.
Oggi, gli investitori sono adeguatamente ricompensati per i rischi assunti” prosegue Bommi. “Certo, ci sarebbe sempre la scelta di non investire affatto, ma non è la nostra strategia. Se le previsioni sui tassi si rivelassero troppo alte, anche i portafogli azionari verrebbero penalizzati. Invece, in questo momento le soluzioni investment grade e high yield offrono buoni rendimenti e sono ben lontane dal generare ritorni negativi. Se invece le previsioni sui tassi si dimostrassero troppo basse, l’investment grade rifletterebbe questa dinamica”.
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