Troppo in alto, troppo in fretta

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Roberto Ceccarelli, Flickr, Creative Commons

Il 2017 si candida ad essere uno dei migliori anni della storia per le asset class emergenti, siano esse azionarie o obbligazionarie. È pensiero comune di molti professionisti dell’industria dell’asset management, infatti, che i bond dei mercati emergenti dovrebbero rappresentare una parte consistente in un portafoglio diversificato. Di questo parere è anche Simon Lue-Fong, head of Emerging Debt di Pictet Asset Management, nonché gestore dei tre fondi con rating Blockbuster Funds People Pictet-Global Emerging Debt, Pictet-Emerging Local Currency Debt e Pictet-Asian Local Currency Debt. Come emerge dalle previsioni di lungo periodo dell’asset manager, tali titoli sono, infatti, tra le poche fonti di rendimento potenzialmente interessanti in quello che altrimenti sarebbe, a suo parere, un mercato obbligazionario poco redditizio.

“A differenza degli onerosi bond delle economie avanzate, il debito emergente offre rendimenti elevati e fondamentali attraenti. Secondo i nostri strategist, per i prossimi cinque anni il debito emergente offrirà un rendimento annuo dell’8,1% in valuta locale e del 3,3% in valuta forte (in USD), in quanto il mercato beneficerà dell’attenuazione delle pressioni inflazionistiche e di una solida crescita congiunturale. Per contro, i bond dei Paesi sviluppati genereranno un rendimento annuo complessivo pari solo all’1,7%”, sostiene l’esperto.

Tuttavia, come la storia insegna, i bond emergenti tendono a subire brusche oscillazioni, registrando una volatilità che potrebbe compromettere seriamente i rendimenti degli investitori qualora non venisse gestita in modo adeguato, fattore che Lue-Fong tiene ben presente. “Da un anno e mezzo il debito emergente è in forte rialzo. Dall’inizio del 2016 il benchmark JP Morgan GBI-EM Global Diversified Composite Index è avanzato del 28% (Fonte: Pictet AM - dati rendimento complessivo al 18 settembre 2017), sicuramente anche grazie ai flussi di capitali. Solo nel primo semestre 2017 sono stati investiti 13,5 miliardi di dollari negli ETF del debito dei mercati emergenti, un volume che ha superato il record di 11 miliardi di dollari dell’anno precedente”, afferma.

Il manager si concentra sul particolare surriscaldamento che si osserva in questo momento nel mercato. A giugno l’Argentina ha emesso un bond a 100 anni che ha ricevuto quasi 10 miliardi di dollari di offerte di acquisto per 2,75 miliardi di dollari di titoli collocati. L’esperto fa notare come ciò si sia verificato solo dopo tre anni che l’Argentina, un Paese con un passato di default, si sia sottratta ai propri obblighi, e come questo rappresenti un segnale di strana euforia tra gli investitori. “Ma il repentino cambiamento di atteggiamento del mercato indica anche che gli investitori sono disposti a ignorare i rischi di lungo periodo per assicurarsi un extra-rendimento; le nuove emissioni di successo di Costa d’Avorio, Sudafrica, Turchia e Brasile sono solo alcuni degli esempi di questo trend”, spiega il fund manager.

Ma occhio alla volatilità

Farsi prendere dall’euforia può rivelarsi quindi rischioso, soprattutto quando si tratta di strumenti periodicamente soggetti a volatilità come i bond emergent, dato che, storicamente, quest’asset class è infatti soggetta a brusche flessioni. A tal proposito, l’esperto evidenzia come, tra l’inizio del 1994 e la fine del 2015, l’indice JPM EMBI Global Diversified Composite abbia registrato un calo del rendimento complessivo di oltre il 2% per 57 settimane, e di oltre il 5% per 12 settimane. “Queste flessioni marcate possono rivelarsi molto dannose per i rendimenti a lungo termine, in quanto maggiore è la perdita, più è difficile recuperarla (per riassorbire interamente un calo del 25% occorre un rally del 33%). Inoltre, gli investitori tendono a entrare nel panico e vendere nel momento peggiore, spesso in corrispondenza di inversioni di tendenza, così come tendono a comprare quando il rally è ormai superato”, spiega.

Le strategie prudenti di Pictet AM

Le strategie di Pictet AM nel debito emergente mirano a superare i rispettivi benchmark nel lungo periodo anche assicurando la conservazione del capitale nelle fasi di volatilità. Ciò, spiega Lue-Fong, non significa che dalla casa di gestione siano difensivi per natura – correndo rischi appropriati alla situazione di mercato – ma che siano invece sensibili ai fattori macroeconomici e politici nonché a variazioni estreme del sentiment. Ciò rappresenta tuttavia il motivo che spiega il perché, nei mesi scorsi, il team abbia optato per un approccio cauto. “A nostro parere, gli investitori potrebbero dover sacrificare una parte dei rendimenti nelle fasi rialziste, ma saranno ripagati dalla possibilità di cavalcare il ciclo economico e mantenere i propri guadagni nelle situazioni di turbolenza sui mercati. Il nostro processo prudente è stato sviluppato per adattarsi alle dinamiche di un’asset class interessante ma volatile”, afferma il manager.

Nel valutare i propri investimenti, Lue-Fong e il suo team considerano numerosi fattori. Uno fra tutti è il rischio sovrano; anche se l’attenzione si concentra in primo luogo sull’analisi bottom-up, cui si avvalgono dei modelli economici sviluppati dal team per valutare adeguatamente i rischi macroeconomici che interessano i mercati emergenti. “Si tratta di un processo importante poiché, a nostro parere, circa la metà dei rendimenti del debito emergente è legata a fattori macroeconomici. Una panoramica della situazione congiunturale completa la dettagliata analisi bottom-up a livello di Paesi e strumenti, e il risultato è una visione a 360° di rischi e opportunità per l’asset class”, spiega il portfolio manager.

Il team tratta singolarmente le diverse componenti del rischio sui mercati emergenti come, ad esempio, nel caso delle obbligazioni in valuta locale, dove la gestione del team di posizioni sui tassi di interesse e sui cambi risulta separata. Nelle fasi di stress sui mercati vi è inoltre un attento controllo delle posizioni liquide tramite un processo in cinque fasi chiamato ‘the drill’. Tale processo, nel quadro di un progressivo peggioramento della situazione gestionale, procede con i seguenti step: smettere di acquistare asset illiquidi, e quindi venderli, vendere asset per un volume equivalente a quello dei deflussi di capitali, vendere in previsione di deflussi di capitali, acquistare strumenti liquidi dei mercati avanzati che presentano una certa esposizione o relazione con i mercati emergenti (proxy trade).