Si sposta al 30 novembre 2015 il termine per l’adesione alla procedura di collaborazione volontaria per la regolarizzazione dei patrimoni all’estero mentre slitta al 30 dicembre quello per consegnare le relazioni di accompagnamento.
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Si sposta al 30 novembre il termine per l’adesione alla procedura di collaborazione volontaria per la regolarizzazione dei patrimoni detenuti all’estero. È arrivato così l’atteso decreto legge di proroga dei termini per l’attivazione della voluntary disclosure. L’integrazione dell’istanza e la documentazione potranno invece essere presentate entro il 30 dicembre 2015. La proroga, si legge nel comunicato diffuso da Palazzo Chigi, è stata decisa alla luce del numero molto elevato di richieste di adesione pendenti e “risponde all’esigenza di riconoscere più tempo per completare gli adempimenti previsti, tenuto conto delle problematiche di recepimento della necessaria documentazione, anche in ragione del fatto che l’acquisizione richiede il coinvolgimento di soggetti esteri”.
Questa proroga in due tempi, commenta Francesco Marconi, commercialista e socio di Noda Studio presso la sede di Milano, “se da un lato permette ai contribuenti di avere più tempo per aderire alla procedura della voluntary e ai professionisti di reperire il grande quantitativo di documentazione richiesta, dall’altro consente di ottenere le risorse indispensabili per scongiurare ulteriori imposte. Dai dati diffusi, pare che manchino ancora 728 milioni di euro per evitare l’applicazione delle clausole di salvaguardia (previste dal 1° ottobre). Lo slittamento della finestra per l’adesione al programma di rientro ha infatti portato alla sospensione dell’aumento delle accise sui carburanti”. E per chi aveva già avviato le macchine dell'emersione? Il decreto dello scorso 30 settembre non cambia la situazione. “I costi della procedura sono rimasti gli stessi, perché non sono state introdotte penali per chi si avvale della proroga”, fanno sapere gli esperti.
Adesso però l’Agenzia avrà tutto il 2016 per analizzare tutte le annualità oggetto di voluntary. Un possibile effetto collaterale di questo supplemento di tempo a disposizione del fisco italiano è l’eventualità di non poter usare i soldi oggetto di emersione per un tempo un pò più lungo del previsto. Fino a quando la procedura non si concluderà con il pagamento di quanto dovuto i soldi sono ‘bloccati’. In alcuni casi banche, intermediari finanziari e fiduciarie puntano a un blocco totale delle disponibilità dei clienti, in attesa della chiusura della procedura mentre in altri è permesso un uso parziale dei beni. Anche solo per pagare la parcella del professionista o cominciare a versare le rate al fisco.
Domanda raggruppata
L’Italia ora, accodandosi ad altri Paesi europei, potrebbe presentare alla Svizzera una “domanda raggruppata” per ottenere informazioni su operazioni bancarie, titoli, cassette di sicurezza. “La domanda di assistenza amministrativa in questione, che costituisce un elemento di novità per la piazza elvetica (con il solo precedente storico in USA), rispecchia i parametri recentemente introdotti dalle modifiche OCSE dal modello convenzionale bilaterale all’art. 26, puntualizza l’avvocato Maurizio Di Salvo e “richiede informazioni su contribuenti non identificati che rispondono ai parametri: il domicilio in quel dato Paese, un conto del valore venale superiore a 1.500 euro e la mancata adesione alla voluntary disclosure. Lo Stato destinatario dovrà necessariamente produrre le informazioni richieste, fatte salve alcune procedure interne stabilite dalla legge federale svizzera in caso di opposizione del contribuente. Dunque, una nuova rivoluzione”.
Volgendo lo sguardo al fronte italiano, quindi, come sottolinea il commercialista Francesco Marconi, “coloro che non denunciano spontaneamente all’amministrazione finanziaria la violazione degli obblighi di monitoraggio entro il 30 novembre 2015 potrebbero quindi incorrere in questo nuovo mezzo d’inchiesta”. La Svizzera e l’Italia, infatti, al momento di sottoscrivere il protocollo di modifica della CDI CH-I nel febbraio 2015, hanno riconosciuto l’ammissibilità di richieste raggruppate aventi come oggetto l’identificazione di alcuni modelli comportamentali. Nessuna giurisdizione che ha stipulato delle convenzioni contro le doppie imposizioni sulla base del modello OCSE, è al riparo dalla domanda raggruppata. “Questo è uno strumento a disposizione degli Stati virtuosi per perseguire trasparenza ed equità fiscale. E l’occultamento di patrimoni in piazze finanziarie off-shore è destinato a divenire, a breve, un lontano ricordo perché tutte le principali giurisdizioni off-shore hanno stipulato accordi per lo scambio di assistenza amministrativa basandosi proprio sul modello OCSE”, conclude Di Salvo.