Ascosim: gestione attiva vs passiva

Sara Brag, Flickr, Creative Commons
Sara Brag, Flickr, Creative Commons

Nella giornata di ieri, si è svolta presso il Palazzo Mezzanotte a Milano, il forum nazionale della consulenza finanziaria Ascosim. Nella tavola rotonda organizzata dalla società di consulenza, si è parlato delle strategie di investimento e dei prodotti finanziari, trattando l’argomento della gestione attiva e passiva.

In primis ci si è chiesto quali fossero le strategie che verranno intraprese nel 2017, visto il risultato di un recente studio, pubblicato da JP Morgan Equity Research, dove evidenzia che, nel 2016, negli USA, c’è stato un importante spostamento dai fondi attivi a quelli passivi per 150 miliardi di dollari e, sempre nello stesso anno, solo il 32% dei fondi azionari attivi hanno sovraperformato il benchmark.

Marcello Chelli, referente Lyxor ETF per l’Italia, ha spiegato come deve essere visto un etf in questo contesto, ovvero con un’ottica strategica. L’esperto sostiene che un etf in sé non è una soluzione di investimento, ma è da vedere in una logica più multi-asset e dinamica. Secondo dei dati forniti da Borsa Italiana, nel 2016, ogni 100 euro negoziati su azioni, 17 erano negoziati su etf. In particolare, ci sono dati evidenti che gli investitori si stanno spostando verso l’asset allocation piuttosto che continuare sulla strada dello stock picking. In questo contesto viene quindi più logico mirare sugli etf. Questi prodotti vengono utilizzati come sottostanti di una forma più ampia di investimento, dove non vi è la questione se utilizzare una gestione attiva o passiva, quanto quello di adottare una gestione attiva, utilizzando prodotti passivi.

A proposito delle conseguenze sui prodotti di investimento dovute all’innalzamento dei tassi della FED dallo 0,5 allo 0,75%, e alla maggiore inflazione connessa, Chelli conclude che vi sono due tipologie di etf in grado di far fronte ad un contesto di questo tipo, ovvero quelli esposti a titoli inflation linked, che tengono d’occhio l’inflazione, e gli etf su bond a tasso variabile, adatti a gestire il rialzo dei tassi di interesse.

Dal forum sostengono che, numeri alla mano, la prospettiva per il mercato nel 2017 consiglia l’utilizzo di questi prodotti. Antonio Bottillo, executive managing director e country head di Natixis Global Asset Management International, parla di una nuova classificazione delle strategie, affermando che inizialmente si pensava che le strategie multi-asset non sono state utilizzate solo per tendere ad una diversificazione sostenibile, ma anche perché ultimamente gli investitori hanno abbandonato l’investimento diretto in securities, azioni, obbligazioni, ecc. Oggi c’è un’evoluzione nell’utilizzo di questa strategia all’interno dei portafogli, dove gli investitori, tendono ad utilizzarle come produttori di rendimento. Si è quindi abituati ad utilizzare le strategie classificandole in base a qualcosa, ma meno portati a classificarle in base al ruolo specifico che queste hanno all’interno del portafoglio. Il suo pensiero è, quindi, che si debba andare verso una maggiore conoscenza della strategia stessa, dove l’investitore sappia identificare il ruolo che questa ha, e il valore che apporta al portafoglio.

Il country head dell’asset manager francese, commenta il cambiamento dei portafogli creati dai consulenti finanziari nel corso del tempo, spiegando che il passaggio dalla produzione alla consulenza è un passaggio epocale, ed entrano in gioco novità rispetto al comportamento del passato. Ci si svincola dalla tendenza di creare prodotti, e si passa ad una logica diversa, dove la necessità di maggiore consapevolezza, offre un cambiamento che comporta maggiore responsabilità nell’investimento. Gli intermediari finanziari, chiamati più di ieri a maggiore responsabilità, hanno bisogno di conoscere le tecniche e le modalità di costruzione dei portafogli, in modo da dare un contributo importante all’investitore. Nel 2016 si è assistito ad un utilizzo di strategie alternative, che hanno contribuito quasi a replicare il ruolo svolto dalla componente obbligazionaria presente nei portafogli degli investitori.

Mauro Giangrande, head of Passive Business Italy & Spain di Deutsche Asset Management, da una rapida spiegazione su cosa sono gli etf smart beta, ovvero di prodotti a gestione passiva, dove non vi è un gestore che seleziona titoli con i criteri tradizionali, ma si utilizzano metodi alternativi rispetto alla capitalizzazione, quindi di natura quantitativa. Giangrande osserva inoltre che ultimamente sono nati diversi etf smart beta nell’ambito azionario, a differenza dell’obbligazionario dove questi sono molto meno. Le obbligazioni infatti sono over the counter, quindi è più difficile capire quanto effettivamente renda un titolo obbligazionario.

Secondo un rapporto di Morningstar, dello scorso settembre 2016, la crescita nel mercato europeo degli etp smart beta è costante, dove l’incremento del patrimonio della categoria ha registrato il +25% negli ultimi 12 mesi, pari a 40 milioni di dollari. L’esperto commenta quindi l’attuale “intersecazione tra gestione attiva e passiva”, dove i prodotti passivi smart beta, sono una categoria che include indici etf con criteri diversi dalla capitalizzazione, che avvicina quindi la gestione passiva con quella attiva. Nel dettaglio, la gestione attiva cerca di portare i cosiddetti etf attivi, quotati sul mercato da un gestore che seleziona in base a dei criteri quantitativi e discrezionali, nel campo della gestione passiva. Al contrario, la gestione passiva invade il campo di quella attiva perché molti accademici hanno dimostrato che alcune caratteristiche, comuni a più titoli, spiegano buona parte del rendimento degli stessi. Questo quindi prescinde dalle singole caratteristiche del titolo, che il gestore attivo cerca con lo stock picking.

Si è parlato infine della volatilità delle quotazioni delle materie prime, che in parte riguarda il prezzo petrolio. A tal proposito Massimo Siano, executive director e head of Southern Europe di Etf Securities, espone un quadro delle aspettative per il 2017, affermando che la novità principale è che negli ultimi cinque anni, fino al 2016, il prezzo della produzione cinese è sempre stato in calo. La Cina quindi esportava inflazione, aggiungendo che per la prima volta, in questo intervallo di tempo, l’indice dell’inflazione è stato superiore. L’esperto afferma che probabilmente nei prossimi cinque anni avremo un cambiamento di rotta in questo senso, e quando si parla di inflazione, il collegamento con le commodities è naturale. I prezzi delle materie prime saranno stabili, e l’Amministrazione Trump agevolerà le infrastrutture energetiche, sollecitando quindi investimenti sulle stesse, con i prezzi energetici tendenti al rialzo. Si tratta di ripartenza di un nuovo ciclo economico, dove l’Europa sarà obbligata a fare quantitative easing fino alla fine dell’anno, con una politica monetaria espansiva per i prossimi due anni, il che vuol dire quindi inflazione