Dollaro in continua ascesa, chi ci perde di più?

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Timis Alexandra (Unsplash)

Il ruolo internazionale del dollaro venne certificato nella Conferenza di Bretton Woods nel 1944, dove si stabilì che il nuovo sistema monetario globale si sarebbe basato sulla convertibilità in oro del biglietto verde. La convertibilità venne abbandonata nel 1971 ma anche nel nuovo regime dei cambi flessibili il biglietto verde restava al centro del Sistema, sostenuto dal petrolio anziché dall’oro. “Oggi la determinazione della Federal Reserve nel contrasto all’inflazione ha portato il dollaro ai massimi da vent’anni e vicino alla parità con l’euro”, spiega Carlo Benetti, Market specialist di GAM (Italia) SGR, che prevede che la leadership del dollaro sul mercato valutario durerà ancora a lungo. Benetti ricorda le parole del Segretario al Tesoro USA nel 1971: “Il dollaro è la nostra moneta e un vostro problema”. E distanza di cinquant’anni la forza del biglietto verde resta un problema per molti.

Russia

Innanzitutto, gli impatti maggiori dell’apprezzamento del biglietto verde si fanno sentire sulla Russia. “Con la guerra in corso e le sanzioni occidentali il rublo si è rafforzato e sembra godere di ottima salute ma è un’illusione ottica”, analizza Benetti. “I rubli vengono comprati dagli esportatori, costretti a convertire nella moneta nazionale buona parte dei flussi in euro o in dollari, ma non è consentito vendere rubli in cambio di altre valute, anche se probabilmente molti russi lo farebbero volentieri”, spiega.  Secondo l’esperto il rublo oggi è un OGM valutario, artificialmente rafforzato costituisce un danno per gli esportatori e in nessun caso rappresenta una minaccia all’egemonia del dollaro. “Mosca lo sa bene, per questo cerca un’alternativa al dominio valutario americano chiedendo la collaborazione della Cina e degli altri paesi BRICS per istituire, all’interno dei diritti di prelievo del Fondo Monetario, una valuta rappresentativa delle valute di grandi paesi esportatori di materie prime, in esplicita concorrenza al dollaro”, sostiene.

Mercati emergenti

La forza del dollaro costituisce un danno alle economie emergenti. In questi sei mesi sono usciti dagli investimenti obbligazionari emergenti cinquanta miliardi di dollari, un deflusso molto più ingente di quello del 2015, in giugno l’’indice JPMorgan GBI Emerging Market Global Diversified è sceso del -4,5% con le preoccupazioni dei mercati concentrate sulle prospettive dell’attività economica. “I tassi americani e la forza del dollaro rendono lo scenario incerto per i mercati emergenti, vulnerabili al triplice colpo della concorrenza dei rendimenti di nuovo interessanti nei Treasury, delle prospettive di recessione economica, della sostenibilità di debiti denominati in dollari” dice.  

Secondo Benetti un aiuto concreto di recupero può venire dalla ripartenza dell’economia cinese dopo i blocchi legati al COVID e con la confortante presenza delle autorità, impegnate nel sostenere la crescita. “Ricordiamo che le banche centrali dei paesi emergenti sono molto più avanti nel ciclo di rialzo”, avverte. “Per il governo di Pechino la crescita economica è vitale per affermarsi come potenza globale: il passaggio a un ordine monetario diversificato e non più basato sulla centralità degli Stati Uniti è considerato vantaggioso per il renminbi”, continua. Tuttavia, la strada della de-dollarizzazione è ancora lunga. “Le ambizioni valutarie della Cina fondano sulla forza economica, sull’ampiezza degli scambi commerciali e, più recentemente, sulla sua forza militare. Ma non bastano”, osserva l’esperto. “Non è sufficiente desiderare lo status di valuta globale per ottenerlo”, afferma. “La fiducia è la valuta più importante nelle relazioni economiche, il renmimbi o il paniere di monete sostenute da materie prime immaginate dall’alleanza dei paesi BRICS non prenderanno mai il posto del dollaro, perlomeno non fino a quando dietro quelle valute ci saranno regimi autoritari e mercati dei capitali fortemente regolati”, conclude.