Fed, le opinioni (contrastanti) dei gestori internazionali sui prossimi sviluppi di politica monetaria

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Tom Chrostek (Unsplash)

Per una banca centrale la credibilità è, ovviamente, fondamentale per la conduzione della politica monetaria. Infatti, più una banca centrale è credibile, meglio riesce a guidare le aspettative di inflazione e più efficace è la trasmissione della sua politica monetaria. La ricerca accademica ha dimostrato che le due principali determinanti della credibilità sono il track-record e l'indipendenza. Per quanto riguarda la Fed, la questione della credibilità è stata già sollevata in modo deciso subito dopo l'errata previsione della natura transitoria dell'inflazione.

Non sappiamo ancora se l'autorità monetaria statunitense abbia perso credibilità. Ciò che sembra chiaro è che gli investitori hanno perso visibilità nel medio termine. Lo dimostra il fatto che non c'è più un chiaro consenso sul movimento dei tassi da parte della Fed dopo il fallimento della Silicon Valley Bank e della Singnature Bank. La scorsa settimana, le aspettative sui Fed Funds per luglio erano di tassi al 5,5 per cento. Ora questa aspettativa è scesa al 4,4%, quando i tassi sono al 4,75 per cento. In altre parole, i mercati stanno scontando che la Fed taglierà i tassi.

C'è chi pensa che le banche centrali cambieranno politica…

Per Arun Sai, strategist di Pictet Asset Management, è probabile che le banche centrali sentano la pressione di dover rallentare l'inasprimento della politica monetaria, dato che il crollo della Silicon Valley Bank evidenzia le tensioni economiche derivanti proprio dal rapido aumento dei tassi di interesse. "Questo fallimento ci ricorda che i rialzi dei tassi hanno la brutta abitudine di agire con un certo ritardo. Nell'attuale ciclo di inasprimento gli effetti negativi sono stati ritardati dall'eccesso di risparmio dei consumatori e dal credito accumulato durante la pandemia".

A suo avviso, la crisi indica anche che una recessione è più probabile di quanto gli investitori pensassero. "Le banche centrali dovranno ora considerare l'impatto di eventuali ulteriori aumenti dei tassi di interesse sulla stabilità del sistema finanziario. È probabile che la fine della stretta negli Stati Uniti venga anticipata, soprattutto perché colpisce in modo sproporzionato le banche più piccole. È ancora possibile che la Fed aumenti i tassi dello 0,25% - un aumento dello 0,5% è fuori discussione - e anche che i tassi rimangano invariati", sottolinea l'esperto.

La sua opinione è in linea con quella di Mondher Bettaieb-Loriot. Secondo l'head of Corporate Bonds di Vontobel AM, la Fed si è spinta troppo oltre. "Aveva bisogno di un segnale per sapere quando fermarsi e quel segnale è arrivato. Tutto ciò rafforza la mia convinzione che la Fed taglierà i tassi nel 2023". Secondo il gestore, si sta assistendo a una politica monetaria sperimentale, il cui esito è incerto. "Ora dovrebbero fermarsi e vedere cosa succede. Sarebbe la cosa più prudente da fare", dice.

… e chi no

Non tutti i gestori internazionali però sono dello stesso parere. L'analisi di Christophe Morel, capo economista di Groupama AM, suggerisce che, sebbene la credibilità della Fed sia peggiorata dopo la crisi economica e finanziaria, essa rimane, il che rafforzerà la determinazione della banca centrale a mantenere condizioni monetarie rigide.

"Questo conferma il nostro obiettivo a lungo termine sui Fed Funds del 6%, con un rischio al rialzo. Soprattutto, crediamo che quando l'economia statunitense sarà in recessione alla fine del 2023, la Fed non vorrà abbassare il suo tasso di riferimento. L'Istituto non teme di innescare una recessione per il rischio di una spirale inflazionistica. E non correrà il rischio di ravvivare le aspettative di inflazione attraverso un allentamento non opportuno delle condizioni monetarie", prevede.

Anche in Europa Martin Wolburg, Senior economist di Generali Investments, non vede molto margine per un'inversione di tendenza. "Per la Bce la situazione rimane difficile. L'inflazione di fondo è troppo alta e la pressione inflazionistica è diffusa. I recenti commenti dei membri del Consiglio direttivo sono stati generalmente duri, suggerendo la necessità di maggiori prestiti. La forte crescita dei salari è considerata un problema per le prospettive di inflazione a medio termine. Anche se l'inflazione di fondo si ridurrà, rimarrà ben al di sopra della zona di comfort della Bce", sostiene l'economista.

Anche tenendo conto del rischio di un inasprimento eccessivo, l'esperto ritiene che Christine Lagarde opterà per rialzi di 50 punti base nelle prossime due riunioni (marzo e maggio) prima di concludere il ciclo di inasprimento con un ulteriore rialzo di 25 punti base che porti il tasso di deposito al 3,75% a giugno. "Sebbene questa visione sia in linea con le attuali aspettative del mercato, ci discostiamo dai mercati in quanto ci aspettiamo che il tasso massimo venga mantenuto almeno fino alla metà del 2024. Solo successivamente, con una prospettiva di inflazione sottostante più favorevole, vediamo spazio per una politica meno restrittiva", conclude.