Fino a pochi mesi fa, ciò che più preoccupava gli investitori era che si verificasse uno scenario di stagflazione globale, ovvero un rallentamento dell’economia accompagnato da un aumento dell’inflazione. Adesso la paura è un’altra. Gli investitori temono, e i mercati iniziano a scontare, che l’economia mondiale torni a cadere in recessione solo due anni dopo la crisi del coronavirus.
“La guerra in Ucraina, i lockdown in Cina, le restrizioni alle forniture e il rischio di stagflazione frenano la crescita. Per molti Paesi sarà difficile evitare una recessione”, ha affermato di recente il presidente del Gruppo Banca mondiale, David Malpass. In questa voce del Glossario analizziamo il concetto di recessione, spieghiamo quali tipi di recessione esistono e illustriamo il loro impatto sui mercati.
Cos’è una recessione?
Si considera recessione una drastica riduzione dell’attività economica (espressa in termini di variazione annuale del PIL) che si verifica su base generalizzata per un periodo di tempo prolungato. La durata effettiva determina la gravità della recessione e quindi quanto tarda l’economia a riprendersi.
Quali tipi di recessione esistono?
Anche se in generale si continua a parlare più di rallentamento che di recessione, almeno a breve termine, si inizia a ventilare l’ipotesi che alcuni Paesi attraversino una cosiddetta recessione tecnica, caratterizzata dalla contrazione del prodotto interno lordo (PIL) nazionale per due trimestri consecutivi.
Per ora, stando agli ultimi dati il PIL degli Stati Uniti ha registrato un calo più marcato del previsto nel primo trimestre, pari all’1,5%, e ha alimentato ulteriormente la paura che la maggiore economia mondiale scivoli in recessione.
Che si tratti di una recessione tecnica o di una contrazione più grave, la durata non è l’unico fattore che determina il tipo di recessione. Conta anche la sua forma iniziale e finale. Stiamo parlando delle famose lettere salite alla ribalta durante l’ultima recessione mondiale causata dal COVID: L, W, V, U…
Gli indizi di recessione
E se la recessione arriverà davvero, quando succederà? È questa la domanda che gli economisti si sentono porre in continuazione in questi giorni, ma in realtà nessuno ha la risposta, anche se alcuni indicatori possono metterci sulla strada giusta. Ad esempio Clearbridge, parte del gruppo Franklin Templeton, ha pubblicato uno studio intitolato “Anatomia di una recessione” in cui analizza le probabilità di una contrazione economica negli Stati Uniti in base ai dati macro, finanziari e del sentiment di mercato. Stando alle ultime rilevazioni effettuate a metà giugno, giunge alla conclusione che solo due degli undici dati analizzati mostrano segnali di recessione.
L’inflazione, fattore chiave in questo momento
C’è anche un altro fattore che farà aumentare o diminuire le probabilità di recessione: l’inflazione. Alla fine, è proprio la corsa dei prezzi che ha spinto le banche centrali a concludere prima del previsto la politica di tassi zero e che potrebbe indurle a operare una stretta monetaria più aggressiva, con il rischio di soffocare un’economia che cresce sempre meno. “Vediamo un alto rischio di recessione nei prossimi due anni, alla luce del maggiore potenziale di turbolenze geopolitiche, dell’inflazione ostinatamente elevata che riduce il reddito reale disponibile delle famiglie e del fermo impegno delle banche centrali nella lotta all’inflazione come primo obiettivo, che fa salire il rischio di incidenti finanziari oltre al forte inasprimento delle condizioni finanziarie già osservato”, afferma Joachim Fels, global economic advisor di PIMCO.
L’impatto sui mercati finanziari
Nell’attesa di sapere se il rallentamento economico già in atto in diversi Paesi finirà per trasformarsi in una recessione, più o meno profonda, vale la pena ricordare che numerosi esperti invitano alla calma: anche in caso di recessione, in base ai dati registrati finora sarebbe molto più semplice da affrontare di altre recessioni passate.
“Dato che, durante la pandemia, nella maggior parte delle economie avanzate sono stati accumulati risparmi in eccesso intorno al 10% del PIL, le famiglie potrebbero consumare il cuscinetto di risparmio e quindi assisteremmo a un rallentamento graduale e, molto probabilmente, a un inasprimento monetario più massiccio”, afferma Silvia Dall’Angelo, economista di Federated Hermes.
Inoltre, i professionisti di Morgan Stanley sottolineano che stavolta la recessione non si inserirebbe in un quadro di forte indebitamento come in passato, bensì di alta liquidità, in virtù degli stimoli monetari e fiscali approvati negli ultimi anni per contrastare l’impatto del COVID-19. “La differenza è importante per gli investitori. Storicamente gli utili aziendali risultano meno penalizzati durante le recessioni causate dall’inflazione”, spiegano. Ad esempio, “durante le recessioni provocate dall’inflazione nel 1982-83, quando la Federal Reserve alzò i tassi di interesse ufficiali al 20%, e nel 1973-74, quando i tassi raggiunsero l’11%, gli utili dell’S&P 500 scesero rispettivamente del 14% e del 15%. Invece, gli utili diminuirono del 57% durante la grande crisi finanziaria e del 32% dopo lo scoppio della bolla dotcom.”
Da parte sua, Olivier de Berranger, chief investment officer e asset management director della società di gestione francese La Financière de l’Echiquier, sostiene che “i prezzi degli asset di borsa hanno già subito pesanti flessioni e scontano una recessione moderata”. E sottolinea che “il sistema bancario non dovrebbe collocarsi nella linea di fuoco più avanzata: niente a che vedere quindi con il tracollo del sistema finanziario nel 2008”.