Il clima sui mercati chiude l’anno in positivo. Italia compresa

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L’Italia resta un’osservata speciale tra la legge di Stabilità e i primi decreti attuativi del Jobs act. Ma il clima sui mercati resta comunque positivo. Almeno sul fronte del debito pubblico italiano: lo spread è stabile sotto quota 135 punti base, mentre i Btp a 10 anni rendono l’1,95%, vicini al minimo storico. Sul fronte del debito governativo, “su tutti i titoli dell’area euro, gli spread si sono ristretti grazie alle banche centrali che hanno dominato sui mercati per tutto l’anno. Italia e Spagna hanno avuto i restringimenti più importanti”, commenta Enrico Vaccari, gestore di Consultinvest SGR. Nel dettaglio, l’Italia ha stretto di 210 punti base. Il decennale ha raggiunto il massimo intorno al 4,10% mentre ora è 1,93%. La Spagna ha stretto di 240 punti base, adesso il decennale è a 1,66%. “Tutto questo è frutto non tanto di una ripresa economica ma di quello che sono le aspettative sul mese di gennaio. Il QE si farà ma non è ancora chiaro se sarà tutto in carico alla BCE o se, come vuole la Germania, si imporrà un’assunzione da parte dei periferici di possibili perdite.

Del resto, se la BCE non è in grado di comprare 1,5 trilioni di asset, il mercato non si riprende. Ma al mercato, che si arrivi a una soluzione mediata o meno interessa poco, gli interessa che il QE si faccia. L’idea è di fare come gli Stati Uniti dove si è passati dalla leva monetaria ad una politica espansiva. Basti vedere il PIL che dal -5% del 2009 è passato al 3,5% di quest’anno”, taglia corto il money manager. Questo, in altre parole, sarebbe uno stimolo per le riforme. È bene poi ricordare la potenza dell’Europa in termini di paese consumatore: è il mercato unico più grande al mondo con circa 600 mln di persone, gli USA sono circa la metà. Mentre in Cina, se si guarda chi ha un reddito superiore ai 20mila dollari, si calcolano circa 200 mln di persone. “Nel 2014 il mercato europeo è stato sottoposto a varie correzioni. A fine 2014 si chiude a +1,94%. In altre parole, i fattori di disturbo non sono stati macroeconomici ma di provenienza delle banche centrali.

Di positivo c’è il crollo del prezzo del petrolio, fattore deflattivo che aiuta la crescita. E su questa partita, non credo proprio che le banche centrali siano solo spettatrici”, spiega Vaccari. Quanto all’asset allocation, “sta diventando chiaro a tutti ormai che è necessario aumentare la componente azionaria nei portafogli di qualsiasi investitore, anche dei più prudenti. L’obbligazionario non è in grado di coprire la pur minima inflazione che c’è. A fare da sfondo, molta volatilità. A cominciare dal fatto che la FED ne genererà parecchia alzando i tassi. Prendersi l’equity è necessario anche per diversificare il rischio, con un focus particolare sull’Europa che potrebbe essere un’area interessante, meno cara e più correttamente valutata. L’Europa è molto lontana dai massimi, la stessa Italia è al 50% in meno del suo potenziale. Se c’è un minimo di effetto leva che passa all’economia, questa è destinata a salire”. Secondo l’esperto, il debito corporate può ancora risultare interessante ma facendo molta attenzione ai settori, come minerario e petrolifero, senza considerare che molte emissioni sono legate proprio a questo.

Infine la valuta. “I differenziali di tasso saranno a favore degli USA. Il dollaro, che ha cominciato il suo trend di ascesa, resta il favorito. Il consiglio, quindi, è di inserire valute forti nei portafogli come dollaro e sterlina, per mettere in atto una diversificazione valutaria”, aggiunge. E conclude: “la quotazione dei fondi? È un inizio di trasparenza verso il mercato, alla luce di Mifid II. Che effetto possa avere in Italia, dove le reti distributive sono molto forti, non saprei. Ma so che nel medio termine è di certo un fatto positivo”.