Inflazione, quale livello deve raggiungere per avere un impatto negativo sui mercati USA?

USA bandiera news
Luke Michael, foto concessa (Unsplash)

L'inflazione ad oggi è il principale rischio per gli investitori nel posizionamento dei loro portafogli. Il fatto che la maggior parte di essi sostenga che il picco registrato negli ultimi mesi sia transitorio minimizza il rischio a lungo termine. Tuttavia, anche se questa natura passeggera dovesse risultare più duratura del previsto, non dovrebbe impedir loro di ottenere rendimenti positivi. Soprattutto se quei mercati in cui investono sono negli Stati Uniti.

A metterlo in evidenza è la casa di gestione Capital Group in un articolo firmato da Pramod Atluri e Ritchie Tuazon, gestori di portafoglio a reddito fisso. "Prima di apportare modifiche al portafoglio bisogna ricordare che periodi prolungati di inflazione elevata sono rari nella storia degli Stati Uniti", affermano i due esperti sottolineando che nel corso degli ultimi 100 anni, l'inflazione degli Stati Uniti è rimasta al di sotto del 5% per la maggior parte del tempo. Più recentemente, dopo la crisi finanziaria globale del 2007-2009, l’inflazione ha faticato a raggiungere il 2% su base continuativa. E questo nonostante le misure di stimolo senza precedenti intraprese dalla Fed nel tentativo di raggiungere l'obiettivo del 2% della banca centrale.

"Solitamente è soprattutto agli estremi, quando l'inflazione è pari o superiore al 6%, che le attività finanziarie tendono a sentire la fatica", fanno notare. E lo si può osservare nel grafico qui sotto che analizza la performance delle azioni e delle obbligazioni statunitensi dal 1970. Infatti, solo nei periodi in cui l'inflazione a 12 mesi ha superato questo livello del 6%, le obbligazioni statunitensi hanno registrato rendimenti negativi. Nel caso delle azioni, bisogna aggiungere un altro periodo, quando l'inflazione è stata in territorio negativo.

L'importanza dell'inflazione "rigida"

In ogni caso, i gestori distinguono tra due tipi di inflazione: l'inflazione flexible, che è più transitoria, e l'inflazione sticky (trad. rigida), che è più permanente e quindi più problematica. La prima, secondo gli esperti quest'anno è aumentata del 14%, includono prodotti come cibo, energia e automobili, i cui prezzi possono salire o scendere molto nel tempo. Nella seconda, quella rigida, includono gli affitti, gli affitto equivalenti dei proprietari, spese assicurative e spese mediche. E l'aumento di quest'ultima, pari al 2,6% annualizzato, è tutt'altro che simile al primo.

"Molte delle categorie di prezzo flexible hanno subito un rialzo per motivi transitori, ma l'inflazione in queste aree potrebbe tornare a zero o addirittura andare in territorio negativo. I componenti sticky favoriranno l'inflazione nel 2022 ed è a questo che gli investitori devono fare attenzione", concludono.