La Fed alza i tassi di 75 punti base, ecco le prime reazioni dei gestori

Jerome Powell, Fed
Jerome Powell, Fed

L'inflazione a maggio continua a salire e nel frattempo la Federal Reserve cerca di ripristinare la propria credibilità. Lo fa aumentando i tassi di 75 punti base nella riunione di giugno. Uno dei rialzi più aggressivi da parte dell'Istituto monetario dal novembre 1994. E la decisione è stata praticamente unanime, solo un membro del Comitato ha votato per un aumento di 50 punti base.

È stata una dichiarazione dura da parte della Fed nei confronti dei mercati. "Si sono impegnati a riportare l'inflazione al loro obiettivo del 2 per cento. E lo faranno anche se questo comporterà un prezzo da pagare", analizza Christian Scherrmann, economista di DWS. Con un'inflazione che tocca l'8,6% e che rischia di aumentare ulteriormente, la Fed probabilmente ritiene di non avere alternative, secondo l'esperto.

Nel giro di poche settimane, il tono della Banca centrale statunitense è cambiato. Come ricorda l'economista di abrdn James McCann, è stato lo stesso presidente della Fed Powell che a maggio aveva dichiarato di non prendere concretamente in considerazione un rialzo di 75 punti base. Altri membri del FOMC hanno ribadito questo concetto in fase di pre-riunione. "Tuttavia, un articolo del WSJ di lunedì riportava la notizia di una concreta possibilità di un rialzo di tale entità. Questa potrebbe essere stata una fuga di notizie intenzionale da parte del Comitato per orientare i mercati in quella direzione", sostiene l'esperto.

La reazione del mercato

È interessante notare che questo atteggiamento da parte della Fed è proprio ciò che il mercato stava cercando. E questo lo possiamo vedere nelle prime reazioni degli asset. "I titoli azionari hanno reagito positivamente, però solo in una prima fase, in quanto il rialzo dei tassi era stato prezzato negli ultimi giorni", interpreta Kristina Hooper, global market strategist di Invesco. I titoli tecnologici hanno sovraperformato nella giornata. I rendimenti dei Treasury decennali e trentennali statunitensi sono scesi in modo molto significativo dopo l'annuncio, il che, secondo Hooper, indica aspettative di crescita molto più basse. A un certo punto, ieri pomeriggio, hanno invertito la rotta, ma rapidamente. Lo spread tra i rendimenti dei Treasury a 2 e 10 anni è ridotto, ma la curva dei rendimenti non è invertita, al momento in cui scriviamo.

Il timore dei mercati era che la Fed potesse ritardare l'andamento della curva obbligazionaria. Alcuni non escludono di fare passi in questa direzione nelle prossime riunioni. "Anche con un rialzo di 75 punti base in questa riunione e in quella di luglio, le previsioni della Fed sembrano indicare un tasso reale dei Fed funds che rimane negativo", osserva Richard Bernstein, CEO di Richard Bernstein Advisors (parte di iM Global Partner). La previsione di un tasso d'interesse reale negativo suggeriscono quindi che non si possono escludere future sorprese al rialzo dei tassi.

Condannati alla recessione?

Secondo Scherrmann, la reputazione della Fed è stata macchiata. "Ora non ha alternative se non quella di mantenere la sua posizione da falco, anche se il risultato finale sarà una recessione. Le probabilità di una recessione continuano ad aumentare", prevede. Dello stesso avviso Salman Ahmed, Global head of Macro & Strategic Asset Allocation di Fidelity International. "Questo aggressivo inasprimento delle condizioni finanziarie (in misura significativamente maggiore rispetto al 2013 e al 2018, data l'inflazione più elevata) porterà probabilmente a un serio e brusco rallentamento della crescita nei prossimi mesi", afferma. In effetti, Ahmed sta già rilevando segnali di debolezza dei consumatori, come l'ultimo dato sulle vendite al dettaglio.

È un argomento che comincia a riflettersi anche nelle proiezioni macroeconomiche della Fed. "Le previsioni riviste per la crescita e il tasso di disoccupazione nella Sintesi delle Proiezioni Economiche (SEP) suggeriscono che la Fed sta iniziando a riconoscere che un percorso più rapido di inasprimento della politica monetaria avrà il costo di una crescita più lenta e di un aumento della disoccupazione", sottolinea Allison Boxer, economista di PIMCO. La Fed prevede ora una crescita del PIL statunitense dell'1,7% nel 2022 e nel 2023, in netto calo rispetto al 2,8% e al 2,2% rispettivamente. E le previsioni di un tasso di disoccupazione al 4,1% (dal 3,6% attuale) entro la fine del 2024.

C'è però un altro aspetto da sottolineare oltre al dato sul lavoro, ovvero l'eliminazione della frase "il mercato del lavoro rimarrà forte" dal comunicato. "Tradizionalmente un tale aumento del tasso di disoccupazione suggerisce una recessione; quindi, sembra che il Comitato sia disposto a correre questo rischio (anche se sostiene che non è nelle sue intenzioni) nel desiderio di un'inflazione al 2 per cento. Il presidente Powell ha detto chiaramente che sarà flessibile, sulla base dei prossimi dati" spiegano gli esperti di Candriam.

Insomma la Fed potrebbe aver agito con tempismo, cogliendo in pieno il momento di eccessivo ribasso del mercato azionario statunitense, ma la domanda che si pone Sebastien Galy, senior macro strategist di Nordea AM "è se la sua guidance possa funzionare anche nel prossimo mix di crescita e inflazione. È ancora tutto da vedere se la Fed riuscirà a stabilizzare le aspettative di crescita e inflazione e ci vorranno settimane per capirlo".