La market view di Aletti Gestielle

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Flavio Ronco, Flickr, Creative Commons

Il 2017 è iniziato senza grandi novità per i mercati che, anche se con minor intensità, hanno seguito le tendenze tracciate nel dicembre scorso. Segnali positivi arrivano dai mercati azionari, e soprattutto dagli emergenti, l’Europa presenta rendimenti in lieve rialzo e spread piuttosto stabili mentre il dollaro mostra qualche cenno di indebolimento

I pochi dati che hanno arricchito il quadro macroeconomico negli Usa continuano a soprendere al rialzo. Qualcosa di simile accade in Europa dove emerge la prospettiva di un’economia che potrebbe chiudere con un PIL a +2% annualizzato nell’ultimo trimestre. Sorpresa generalizzata nei Paesi sviluppati per i dati di inflazione più alti delle attese, che hanno superato anche il previsto impatto dell’effetto confronto garantito dal prezzo del petrolio oltre i 50 dollari al barile. Gli emergenti, invece, continuano sul loro trend di stabilizzazione su livelli di crescita che possano consentire la corretta gestione del bilancio statale e il controllo dei flussi di capitali.

Le Banche Centrali non hanno fatto grandi mosse e dalle poche misure annunciate si evince la volontà di non fungere da ostacolo alla ripresa ma di agevolarla. Da un lato c’è la Fed con il suo atteggiamento più “hawkish”, dall’altra la BCE che ha adottato invece una posizione più “dovish” cercando di controbilanciare i timori innescati dall’avvio del tapering (così giudica Aletti la riduzione degli acquisti mensili da 80 miliardi a 60) su una continuazione serrata dello stesso, visti i dati di inflazione di dicembre in Germania.

Secondo la società, la novità di maggior rilievo riguarda il fatto che l’inflazione abbia sorpreso al rialzo nell’Eurozona. Una rondine non fa primavera, è vero, ma una riflessione sui mercati non può prescindere dai nuovi attori che fanno capolino sulla scena. Che siano protagonisti e comparsa, sostiene Aletti, sarà sicuramente importante ma la sua sola presenza, di per sé, ha già il potere di cambiare la prospettiva del pubblico.

Tra i principali problemi da affrontare c’è quello del debito pubblico che ci portiamo dietro ormai dal 2007 e la cui soluzione sembra dover passare per il raggiungimento di livelli sufficienti di crescita nominale (crescita reale più l’inflazione). Le previsioni del FMI di gennaio confortano in tal senso e anche le recenti dinamiche confermano la crescita nominale necessaria al raggiungimento di tale obiettivo.

Inoltre, dal punto di vista micro, la componente di crescita degli utili viene stimata piuttosto conservativa dal mercato e, su questo fronte, potrebbero esserci sorprese positive sia in US, per effetto del taglio delle imposte societarie promesso da Trump, sia in Europa, grazie alla buona tenuta dei margini e alla ripresa del ciclo economico.

I portafogli, quindi, si mantengono in linea con una visione positiva sui mercati azionari, soprattutto nella prima parte dell’anno. L’esposizione azionaria è elevata sia nei fondi “target date” che negli absolute return e total return flessibili, benché leggermente inferiore rispetto alla parte finale dell’anno scorso.

Per quanto riguarda l’esposizione obbligazionaria, invece, il rischio presente in portafoglio è molto contenuto. L’impostazione strategica dovrebbe privilegiare, nel corso dell’anno, un approccio di sell on rally. L’ipotesi di fondo è che il graduale rialzo dei rendimenti possa continuare anche se potrebbe essere intervallato da prolungate fasi di successiva stabilizzazione su nuovi più alti livelli raggiunti.

Sul fronte del rischio di cambio, Aletti conferma la strategia di sottopeso del dollaro USA e più in generale di una contenuta diversificazione valutaria. I recenti sviluppi non dovrebbero portare ad un cambiamento nella direzione della traiettoria del cambio euro/dollaro. Infatti, da questo momento le forze a favore dell’euro dovrebbero riemergere: surplus di partite correnti, riduzione dei flussi di capitale in uscita, riduzione prospettica degli acquisti mensili da parte della Bce. Mentre per il biglietto verde dovrebbe esserci un parziale ridimensionamento della spinta proveniente dall’allargamento del differenziale di crescita economica e dei rendimenti.