Contrazione del credito al consumo negli Stati Uniti e difficoltà della Cina sul fronte della domanda interna sono secondo il gestore del Lemanik Global Strategy Fund i reali fattori determinanti dell’attuale fase di mercato.
Il mercato guarda ai Paesi giusti, ma dalla prospettiva sbagliata. Nella view di Maurizio Novelli, gestore del Lemanik Global Strategy Fund, Stati Uniti e Cina sono sì le economie da analizzare per comprendere l’attuale quadro macro, senza però lasciarsi fuorviare dall’attuale fase di tensione sul commercio. Non è infatti questo, secondo Novelli, il nodo fondamentale da sciogliere, almeno non ancora, per chiarire le prospettive della crescita economica globale.
L’irrisolvibile questione tecnologica
“Nel 2018”, sottolinea il gestore del Lemanik Global Strategy Fund, “non c’è stata alcuna crisi del commercio globale”. “Basti dire”, prosegue, “che gli interscambi tra Stati Uniti e Cina hanno raggiunto proprio lo scorso anno il loro massimo, entrando in una fase di flessione solo a partire da febbraio”. Nonostante il grande rumore provocato, lo scontro di mantiene dunque, secondo Novelli, ad un livello ancora superficiale, senza andare ad investire il vero centro della questione rappresentato dalla lotta per la supremazia tecnologica. Attualmente l’impatto delle pressioni sui dazi è visto solo come un fattore di inasprimento delle vere dinamiche che stanno influendo negativamente sulla crescita a livello globale.
Un modello di crescita non sostenibile
“Analizzando i dati risulta sempre più chiaro come ci troviamo in una situazione di eccessiva dipendenza dalla domanda interna cinese da un lato e dai consumi domestici statunitensi dall’altro”, spiega Novelli. Ad accomunare le due potenze troviamo il tema del debito. Per quanto riguarda gli Stati Uniti nel 2018 il debito estero ha raggiunto il 50% del Pil contro il 22% del 2007. “Inoltre”, fa notare il gestore del Lemanik Global Strategy Fund, “la qualità di questo debito è decisamente la peggiore di sempre: il 30% dei corporate bond sono high yield, il 50% dei bond con rating investment grade sono BBB (nel 2007 erano il 25%), il 27% circa del credito erogato dal sistema finanziario è Subprime (nel 2007 era il 24%) e i leverage loans sono raddoppiati rispetto al 2007 e sono pari al 6% del Pil USA”. La Cina, di contro, ha vissuto una crescita del credito che ha portato ai primi episodi di default e all’aumento di NPL, tanto da porre al primo posto dell’agenda politica, sostiene Novelli, il controllo della dinamica del debito piuttosto che la ricerca di una ripresa della crescita economica.
Combinazioni pericolose
Un controllo non applicabile negli Stati Uniti, dove “la crescita generata esclusivamente dalla continua creazione di debito”, rivela Novelli, “ha portato all’instaurarsi di un modello economico non solo non sostenibile ma non riconvertibile e destinato a causare una crisi finanziaria di ampie proporzioni”. Il motivo risiede nell’esagerata allocazione di risparmio globale sugli asset americani (credito e equity) e sul dollaro, che espone l’intero sistema a un’elevata concentrazione di rischio. Attualmente gli investitori esteri detengono il 50% di tutti i corporate bond statunitensi, il 30% dei Titoli di Stato e il 25% della capitalizzazione del mercato azionario, determinando un’ allocazione di risorse dall’estero tra le più alte della storia. “È praticamente impossibile mantenere questo ritmo di creazione di debito per molto tempo”, sottolinea Novelli. “Il problema è che senza i debiti di Cina e Usa l’economia mondiale non riesce a crescere in modo adeguato e quando il debito raggiunge il limite di sostenibilità, l’economia rallenta e rischia di entrare in recessione”, aggiunge. “Se la crescita americana deve essere finanziata con credito sempre più speculativo, come accade ora”, conclude il gestore del Lemanik Global Strategy Fund “significa che per avere più crescita il sistema deve esporsi a un rischio sempre maggiore, ma con tassi sempre bassi". Una dinamica che non può durare in eterno.