Debito dei mercati emergenti: passato, presente e futuro

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Brett Diment, Head of Emerging Market Debt, Aberdeen Standard Investments

Contributo a cura di Brett Diment, head of Emerging Market Debt di Aberdeen Standard Investments. Contenuto sponsorizzato.

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In un contesto in cui oltre 12.000 miliardi di dollari del mercato obbligazionario globale offrono rendimenti negativi, è facile capire perché il debito dei mercati emergenti costituisca una valida alternativa. i Le obbligazioni dei mercati emergenti offrono rendimenti interessanti, laddove, a parità di rating creditizio, i rendimenti attesi delle obbligazioni EM sono superiori a quelli delle obbligazioni dei mercati sviluppati. Inoltre, offrono vantaggi per gli investitori globali in termini di diversificazione, esponendoli tuttavia a diversi rischi politici, economici e di mercato (rischio che le obbligazioni potrebbero risultare inadempienti, valutario, legato al prezzo, rischi normativi come modifiche fiscali o controlli sul capitale).

Origini di un'asset class: dal 1970 al 1990

Il sistema di cambi fissi di Bretton Woods terminò nel 1973. Nei due decenni successivi, i paesi abbandonarono il controllo dei capitali, che aveva limitato i flussi di investimento nei mercati esteri dalla Seconda guerra mondiale. Questo inaugurò un'era di grandi flussi di capitali globali. Durante gli anni ’70, il prezzo del petrolio salì da 3 a 37 dollari al barile. Qualche anno prima, nel 1960, cinque nazioni produttrici di petrolio avevano creato l'OPEC. L'organizzazione venne alla ribalta nel 1973, quando l'embargo petrolifero arabo innescò un'impennata nella quotazione del greggio. I prezzi raggiunsero il picco dopo lo scoppio della Rivoluzione iraniana nel 1979. Questa fu anche un'epoca di volatilità del mercato valutario e di elevata inflazione.

Nel 1981 Antoine van Agtmael di IFC, membro del World Bank Group, coniò l'espressione “mercati emergenti”. Gli investitori cercavano opportunità in paesi che potessero imitare il rapido sviluppo economico delle cosiddette Tigri asiatiche, ossia Hong Kong, Singapore, Corea e Taiwan. È così che nacque l'asset class. 

Nel 1983 il Messico dichiarò default. La Federal Reserve statunitense aveva aumentato i tassi per domare l'inflazione, seguita da altre banche centrali del mondo sviluppato. Questo si rivelò un punto di svolta per i paesi emergenti, il cui debito era rappresentato prevalentemente da prestiti a tasso variabile. Poco dopo, oltre una decina di mercati emergenti dichiarò l'insolvenza sovrana, soprattutto in America Latina. Nel 1989 il ministro del Tesoro americano, Nicholas Brady, creò un piano per ristrutturare questo debito che consentiva alle banche commerciali di scambiare i loro crediti con strumenti negoziabili. Le obbligazioni Brady spianarono la strada alla standardizzazione del debito dei mercati emergenti, il che rese disponibile l'asset class a un nuovo gruppo di investitori.

Forgiato dalla crisi: dal 1990 al 2000

Nel 1992 JP Morgan lanciò l'Emerging Market Bond Index (EMBI), che consentì agli investitori di monitorare la performance di un insieme di obbligazioni Brady in 10 paesi, prevalentemente in America Latina. L'indice è stato sostituito dal JP Morgan Emerging Market Bond Global Diversified Index o EMBI GD, che è l'indice più utilizzato per questa asset class con una copertura di 73 paesi. JP Morgan fece storia con questo indice che risale al 1992 e presentava una copertura iniziale di 14 paesi.

Nello stesso anno, l'International Finance Corporation (IFC) iniziò a pubblicare dati sui "mercati di frontiera", ossia Paesi con le seguenti caratteristiche: mercati troppo piccoli per essere inclusi nel database dei principali mercati emergenti dell'IFC; mercati con maggiori restrizioni sugli investimenti esteri; nazioni economicamente meno sviluppate.

Dagli anni ’90 in poi i flussi obbligazionari e azionari nei portafogli sostituirono i prestiti bancari come principale fonte di finanziamento per i mercati emergenti. L'Asia si dimostrò una calamita per il capitale estero negli anni ’90. I governi asiatici avevano bilanci solidi, le famiglie avevano tassi di risparmio elevati e i tassi di cambio erano strettamente correlati al dollaro USA.

Nel mainstream: dal 2000 a oggi

Il debito dei mercati emergenti ha registrato una forte crescita negli ultimi due decenni (cfr. Grafico 2).

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Oggi, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, l'asset class rappresenta circa il 25% del debito globale in circolazione, ossia 55.000 miliardi di dollari del debito globale totale che ammonta a 215.000 miliardi, comprese obbligazioni nazionali, prestiti e altro credito. Gran parte di questo debito non è ancora accessibile agli investitori esteri. Tuttavia, secondo i dati di JP Morgan, l'universo investibile era di quasi 12.000 miliardi di dollari alla fine del 2018. La serie di crisi e l'elevata inflazione degli anni ’80 e ’90 hanno portato a miglioramenti nella gestione economica, rafforzando la sostenibilità del debito. Molti paesi emergenti hanno introdotto regimi basati su un obiettivo di inflazione.

Questi miglioramenti hanno contribuito a ridurre i tassi di default. Dal 2000 i default sono scesi allo 0,7% annuo nei paesi dell'indice JP Morgan EMBI Global Diversified (cfr. Grafico 3). La maggior parte dei default è imputabile a piccoli emittenti, ossia paesi come Mozambico, Ucraina ed Equador. L'Argentina ha rappresentato l'eccezione, essendo responsabile del picco del 2001 nel grafico sottostante.

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Tra il 2000 e il 2007 i rating sovrani sono aumentati, ma la crisi finanziaria globale ha posto fine a questa tendenza. È seguita poi la crisi in Europa, che ha ricordato agli investitori che i default non sono solo un fenomeno dei mercati emergenti (si veda infatti l'inadempienza sovrana della Grecia nel 2012). Da allora, i rating creditizi medi dei mercati emergenti sono peggiorati a causa del deterioramento dei fondamentali e delle nuove emissioni di emittenti sovrani con rating basso.

Dal 2014 al 2016 la resilienza dei mercati è stata messa alla prova. Si è registrato un forte calo dei prezzi delle materie prime e i flussi di capitali globali si sono invertiti. Tuttavia, i default sul debito sovrano nelle economie dei mercati emergenti non hanno registrato un aumento, in netto contrasto con quanto successo negli ultimi 200 anni. I mercati hanno fatto molti progressi, aprendosi sempre più agli investitori esteri. L'evoluzione degli indici JP Morgan, principale fornitore degli indici del debito dei mercati emergenti, coglie questo cambiamento.

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Il futuro

Qual è il futuro del debito dei mercati emergenti? Osserviamo alcune tendenze che rimodelleranno le opportunità di investimento: 1) La crescita economica nei mercati emergenti continuerà a superare quella delle economie sviluppate, stimolando un'ulteriore crescita del mercato del debito dei Paesi emergenti. Al momento i mercati emergenti rappresentano il 59% dell'economia globale, in crescita rispetto al 36% del 1989 (sulla base della parità del potere d'acquisto, secondo le stime dell'FMI). 2) I mercati obbligazionari nazionali diventeranno più accessibili agli investitori esteri. 3) I Paesi emergenti emetteranno una quota maggiore del debito in valuta locale. 4) Ci aspettiamo che i Paesi con mercati più maturi emettano obbligazioni a più lunga scadenza. 5) La prossima crisi del debito potrebbe avere caratteristiche cinesi. Dal 2017 il mondo deve più di cinquemila miliardi di dollari alla Cina. Questi prestiti provengono direttamente dal governo o da società controllate dallo Stato. 6) L'età media della popolazione aumenterà. 7) L'attenzione al rischio ESG continuerà ad aumentare. 8) JP Morgan dovrebbe lanciare un indice aggregato, combinando la copertura del debito in valuta forte, del debito in valuta locale e del debito corporate, e contribuendo a mettere in evidenza la profondità e l'ampiezza del mercato.

Tratto da The Four Pillars of Emerging Market Debt. 

Per maggiori informazioni su Aberdeen Standard Investments consultare il seguente link.


Robin Wigglesworth, FT, (19 giugno 2019), Value of negative yielding debt hits record $12.5tn.