Armando Carcaterra, direttore Investimenti di Anima SGR.
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L’atteggiamento attendista della FED e la politica monetaria ultra espansiva della BCE supportano l’indebolimento dell’Euro giocando a favore del biglietto verde e delle esportazioni europee. A partire dal consueto appuntamento annuale di Jackson Hole, l’attenzione dei mercati si è ancora più focalizzata sulle mosse della BCE e di quella americana, a cui si è aggiunto ultimamente il “rischio” Scozia, poi rientrato dopo la vittoria del fronte del “no” all’indipendenza dal Regno Unito. Nonostante la Federal Reserve nei giorni scorsi abbia comunicato che i tassi rimarranno bassi “per un periodo di tempo considerevole” - complice il dato sull’inflazione in discesa dello 0,2% ad agosto rispetto al mese precedente (inflazione a 1,7% su base annua) - le ultime misure annunciate dal Presidente Mario Draghi e la prima tanto attesa operazione Tltro, non hanno fatto altro che rafforzare la ormai evidente divergenza fra le politiche adottate dalle due più importanti Autorità monetarie.
Se da un lato, infatti, la Federal Reserve ha lasciato i tassi invariati nel range 0-0,25% e con le sue parole ha in qualche modo spostato in avanti nel tempo la fase del rialzo dei tassi statunitensi (che invece sembrava molto imminente e che Anima si aspetta, allo stato attuale, nel I semestre del 2015), ha proseguito, al contempo, sulla strada di un progressivo rientro della liquidità, tagliando di ulteriori 15 miliardi le misure di stimolo monetario all’economia, tanto che oggi, del piano originale di riacquisti di bond per 85 miliardi al mese, ne restano soltanto 15 miliardi.
La FED, pertanto, ancora una volta, ha svincolato la decisione sul rialzo dei tassi da una qualche tempistica, legandola maggiormente all’andamento dei dati economici; determinante, in questo senso, sarà un progresso del mercato del lavoro, più rapido del previsto. Inutile dire che comunque l’allontanamento della “stretta” ha riportato ai massimi Wall Street, con lo Standard&Poor’s che ha toccato nuovi record e ha rafforzato il dollaro.
Se la politica espansiva della FED, perciò, a tendere andrà ad esaurirsi, invece, quella della BCE si preannuncia per i prossimi mesi ancora più accomodante, dal momento che Draghi, per scongiurare il rischio deflazione e supportare la ripresa economica ha annunciato un’accelerazione per quanto riguarda le misure “non convenzionali”, ovvero il piano da 500 miliardi di euro per l’acquisto di Asset backed security (ABS) e obbligazioni garantite, ma anche l’apertura al Quantitative Easing, sul modello della FED. Nel frattempo con la prima asta sui finanziamenti Tltro - la prossima è prevista per l’11 dicembre - la BCE ha inaugurato una nuova stagione, assegnando alle banche dell’Eurozona, per il rifinanziamento da destinare a imprese e famiglie, 82,6 miliardi di Euro richiesti, contro una previsione di 130 miliardi. A fare la parte del leone sono stati gli istituti di credito italiani e spagnoli, che con rispettivamente 23 miliardi e 15 miliardi, si sono aggiudicati oltre il 40% dei finanziamenti. I mercati hanno reagito bene, nonostante la richiesta sia stata meno elevata del previsto, in quanto rende più probabile e vicino il Quantitative Easing. Va tuttavia anche detto che, quando a ottobre ci sarà l’annuncio da parte della BCE dei risultati dell’esame approfondito sulla salute delle banche europee, verrà eliminato un fattore di incertezza, che fino ad oggi ha pesato sul credito, favorendo la prossima asta.
Al contempo la BCE, in occasione del meeting di settembre, ha anche ribadito come da sole le politiche monetarie o fiscali non possano essere sufficienti, invitando gli Stati membri ad avviare il prima possibile le riforme strutturali per creare un maggiore potenziale di crescita. Inoltre l’Autorità monetaria ha sorpreso in parte gli operatori, applicando un nuovo taglio ai tassi di interesse, ridotti di 10 punti base al nuovo record storico dello 0,05%. L’effetto a caldo sui mercati è stato di un nuovo trend ribassista degli spread.
Inoltre, la BCE di recente ha commentato in merito all’economia italiana, facendo presente come “soffra di una congiuntura sfavorevole e peggiore del previsto” e come pertanto “rischi di non rispettare gli obiettivi di deficit rispetto al PIL”. Scenario poco roseo confermato anche dall’OCSE, che ha tagliato in modo significativo le stime di crescita per il Paese, arrivando a prevedere che nel 2014 il Prodotto interno lordo subirà un calo dello 0,4%, contro il +0,5% previsto solo a maggio. Ma c’è di più: per il 2015 l’OCSE segnala che la ripresa sarà soltanto nell’ordine dello 01,%.