Inflazione, qui oggi e qui domani?

Salman Ahmed, Fidelity International
Salman Ahmed, immagine Fidelity International

CONTRIBUTO a cura di Salman Ahmed, global head of Macro and Strategic Asset Allocation di Fidelity International. Contenuto sponsorizzato.

Nel 2021 l'inflazione ha subito un'impennata a livello globale, con il dato primario dell'IPC USA che a luglio ha raggiunto un massimo del 5,4%. Nonostante il modesto allentamento registrato a partire dalla scorsa estate, il dato rimane estremamente elevato per gli standard storici, essendo sostenuto da un insieme di fattori: misure di incentivazione fiscale e liberazione della domanda repressa a causa della pandemia, interruzioni nella catena di fornitura e carenze strutturali a livello di offerta, e infine misure di incentivazione monetaria, tra cui una maggiore tolleranza iniziale delle banche centrali rispetto a un'inflazione più elevata. Ciononostante, la direzione futura dell'inflazione resta un'incognita per policymaker e investitori. In questo articolo illustriamo le nostre aspettative e le ripercussioni sui mercati degli investimenti.


Effetti inflazionistici della pandemia

L'impennata registrata a livello globale dall'inflazione nel 2021 (Figura 1) è dipesa principalmente da due fattori legati alla pandemia: la liberazione della domanda repressa e le carenze sul fronte dell'offerta. Mentre la prima è il risultato dell'utilizzo dei risparmi in eccesso accumulati da molte coorti di consumatori nel corso della pandemia, le seconde derivano da squilibri delle scorte, strozzature nei trasporti e tempi di consegna più lunghi.

Fonte: Fidelity International, Refinitiv Datastream, ottobre 2021

In prospettiva futura, è estremamente improbabile che la domanda repressa abbia ancora un ruolo determinante nell'andamento dell'inflazione. Anche se i tassi e i livelli di risparmio in eccesso sono ancora sostanziali, la loro principale causa, ossia le significative misure di sostegno fiscale, è venuta meno con il successo delle campagne vaccinali che hanno spezzato il legame tra contagi da Covid-19 e decessi. Di conseguenza, nei prossimi mesi dovrebbe progressivamente ridursi l'impatto inflazionistico della domanda repressa liberata, anche se in alcune categorie, come i viaggi, potrebbe rivelarsi più persistente.

Allo stesso modo, ci aspettiamo che la gravità di alcune interruzioni nella catena di fornitura si attenui nei prossimi mesi. Ciononostante, i nostri analisti bottom-up continuano a segnalare, anche per il 2022, il rischio di persistenza di alcune strozzature nella filiera, in alcuni casi legate a tendenze strutturali (Figura 2). Di conseguenza, le tempistiche di attenuazione dei fattori 'transitori' sul fronte dell'offerta restano incerte.

Domanda: In che misura direbbe che le pressioni inflazionistiche attualmente subite dalle società che segue sono più transitorie o strutturali? I dati escludono il 5% degli analisti secondo i quali le società seguite non sono soggette a pressioni inflazionistiche.
Fonte: Fidelity International, settembre 2021

Potenziali fattori trainanti delle pressioni inflazionistiche a lungo termine


In ogni caso ci aspettiamo che l'inflazione si attesti in una posizione di equilibrio più elevata a causa di una serie di fattori, tra cui un'inflazione salariale più elevata, un'inflazione degli alloggi più elevata e obiettivi di sostenibilità, come la transizione globale verso la neutralità climatica in termini di emissioni di carbonio.

Salari minimi in aumento negli USA

Gli squilibri tra domanda e offerta causati dalla pandemia hanno determinato un netto aumento dei salari in alcuni settori, tempo libero e ricettività in primis. Tuttavia, la carenza di personale indotta dalla pandemia ha anche coinciso con una dinamica del mercato del lavoro statunitense di più lungo periodo: il progressivo aumento del salario minimo USA a 15 dollari l'ora (dall'attuale minimo federale di 7,25 dollari l'ora). Il presidente Biden ne ha fatto un obiettivo politico, ma alcuni datori di lavoro del personale a basso salario stanno anticipando la legislazione ufficiale e hanno aumentato i salari nell'ambito di una transizione accelerata dalla pandemia.

Le tendenze politiche e sociali che, nel loro insieme, stanno incentivando i datori di lavoro a offrire salari più elevati per lavori poco retribuiti, non dovrebbero esaurirsi nel prossimo futuro, con la conseguenza che i business potrebbero essere obbligati a trasferire questi costi ai consumatori. Questo si riscontra soprattutto nei business a margini ridotti, come i ristoranti. Inoltre, dato che i gruppi con redditi inferiori hanno una maggiore propensione marginale alla spesa, un aumento dell'inflazione potrebbe risultare una conseguenza indiretta.

Inflazione degli alloggi

Il tasso di crescita del costo degli immobili residenziali e degli affitti è determinante per l'inflazione inerziale negli Stati Uniti, dato che l'inflazione degli "alloggi" rappresenta il 40% dell'indice IPC core. Con i prezzi degli immobili residenziali già in rialzo del 18% su base annua per effetto dell'offerta limitata, insieme a tassi ipotecari ridotti e abbandono delle grandi aree urbane indotto dalla pandemia, la relazione lineare tra le quotazioni degli immobili residenziali e l'inflazione degli alloggi si tradurrà in un'inflazione degli alloggi tra il 4-5% nei prossimi 12-18 mesi.

Oltre a questa spinta ciclica di breve periodo all'inflazione degli alloggi, gli effetti duraturi della sostenuta domanda dei millennial che entrano nella fascia d'età in cui normalmente si costituisce una famiglia, insieme al fatto che le case unifamiliari disponibili sono al minimo degli ultimi 40 anni, dovrebbero far salire i prezzi in maniera costante nei prossimi anni. Quasi sette milioni di adulti dovrebbero entrare nella fascia di età in cui si acquista una casa tra oggi e il 2035.

Obiettivi di sostenibilità e la transizione globale verso le emissioni zero

I cambiamenti climatici e le misure per mitigarli definiranno la forma della crescita economica nel XXI secolo. Come
abbiamo evidenziato di recente, questo potrebbe incidere sensibilmente sui rendimenti del mercato dei capitali e l'asset allocation strategica. Mentre gli investitori stanno già individuando le industrie che potrebbero prosperare e quelle che potrebbero essere danneggiate dal processo di decarbonizzazione, il potenziale impatto sull'inflazione è stato finora oggetto di scarso interesse. A nostro avviso una risposta efficace ai cambiamenti climatici richiederà, ad esempio, la definizione di un prezzo per le emissioni di carbonio e questo sicuramente avrà un impatto sull'inflazione. Per raggiungere le emissioni zero entro il 2050, il Network for Greening the Financial System (NGFS) stima che la traiettoria dei prezzi del carbonio dovrebbe essere molto ripida, dall'attuale media globale di circa 3 dollari a tonnellata a 150-200 dollari entro la metà di questo decennio, fino a 700-800 dollari entro il 2050 (sulla base di un pricing del carbonio esplicito e implicito).

La tempistica e il ritmo di implementazione di qualsiasi sistema di pricing del carbonio sono frutto di decisioni politiche e quindi piuttosto incerte. Se i leader mondiali si coordineranno nel tentativo di favorire una rapida transizione alla neutralità climatica, la spinta all'inflazione potrebbe essere superiore e arrivare presto. Viceversa, l'impatto potrebbe essere ritardato e leggermente inferiore (pur restando significativo). Anche se le tempistiche precise restano incerte, è cruciale sottolineare i maggiori costi socioeconomici di una transizione ritardata o non coordinata.

Fonte: Fidelity International, NGFS Climate Solutions per banche centrali e autorità di vigilanza, giugno 2021.

Il ruolo delle aspettative inflazionistiche

Le aspettative di inflazione possono rappresentare un utile meccanismo di trasmissione attraverso il quale gli shock inflazionistici possono persistere in un orizzonte di lungo periodo. Il meccanismo rappresenta principalmente uno strumento di catalizzazione di un circolo vizioso di aumento dei prezzi in tutta l'economia, vale a dire che l'aumento delle aspettative inflazionistiche determina un incremento dell'inflazione realizzata effettiva. Mentre la potenza di questo meccanismo è da tempo oggetto di dibattito, le aspettative inflazionistiche sono senza dubbio al centro della politica delle banche centrali (anche quella della Federal Reserve). Finché le banche centrali terranno conto delle aspettative inflazionistiche nei loro processi decisionali, gli indicatori delle aspettative d'inflazione basati sul mercato e sui sondaggi rimarranno cruciali per valutare le prospettive d'inflazione. Al momento, sia le aspettative di inflazione che l'incertezza sono elevate (Figura 4).

Fonte: Fidelity International, Haver Analytics, FRB NY, ottobre 2021

Reazioni delle banche centrali all'aumento dell'inflazione

Il fatto che l'inflazione abbia accelerato il passo, in alcuni casi raggiungendo livelli nettamente superiori agli obiettivi delle banche centrali, ha posto i policymaker di fronte a un dilemma: scegliere fra una stretta della politica per mantenere la loro credibilità, correndo però il rischio di indebolire il contesto di crescita economica o l'attesa di ulteriori dati che confermino la natura dell'inflazione (transitoria o persistente), rischiando tuttavia un cambio di regime delle aspettative inflazionistiche. Le principali banche centrali possono essere approssimativamente divise in due gruppi in base a questi approcci. Il gruppo più aggressivo include la Norges Bank, la RBNZ e la Bank of England – tutte banche centrali che hanno già dato il via al ciclo di contrazione o sono in procinto di farlo. Poi c'è la Federal Reserve, che ha iniziato il tapering degli acquisti di asset prima della fine del 2021 e conta di terminarlo entro la metà del 2022 (un ritmo veloce rispetto al ciclo di tapering del 2014).

L'altro gruppo comprende le banche centrali che adottano un orientamento "attendista", tra cui la Banca centrale europea (BCE) e la People Bank of China (PBoC). Queste banche centrali non sono eccessivamente preoccupate per il possibile disancoraggio delle aspettative di inflazione e probabilmente sono anche soggette a una serie di limitazioni politiche più complesse. Per quanto riguarda la BCE, le preoccupazioni principali sono ad esempio evitare un ulteriore ampliamento degli spread sovrani e garantire un'ampia liquidità alle banche, mentre la PBOC è concentrata sul bilanciamento del deleveraging controllato, la promozione del nuovo obiettivo della "prosperità comune" del governo, la limitazione dello stress all'interno dei mercati finanziari ed evitare un hard landing dell'economia cinese.

Nonostante questa recente divergenza tra le strategie delle banche centrali, la lunga fase di normalizzazione della politica sarà impegnativa per tutti. La maggior parte delle economie emergenti e sviluppate è uscita dalla pandemia con un elevato indebitamento, ma la sostenibilità del debito diventerà un aspetto ancora più vincolante per gli orientamenti politici nei prossimi anni. In quest'ottica, i paesi che stanno già abbandonando le politiche accomodanti potrebbero adottare un ciclo di inasprimenti modesto, con la prospettiva di una riduzione dei bilanci che difficilmente sarà imminente. I paesi che non hanno fretta potrebbero non essere in grado di ritirare del tutto le politiche accomodanti o di intervenire al rialzo sui tassi nel prossimo futuro.

Implicazioni dell'inflazione sui rendimenti degli asset

I risultati della nostra analisi dei rendimenti degli asset USA negli ultimi 100 anni dimostrano che la performance delle azioni e delle obbligazioni varia a seconda dei diversi regimi di inflazione, ovvero se l'inflazione è elevata, media o ridotta, e se è in aumento o in calo. La Figura 5 mostra che azioni e obbligazioni realizzano in genere una performance migliore quando l'inflazione è in calo, mentre la principale deviazione da questa tendenza si verifica quando l'inflazione è "ridotta" e in aumento. In questo regime, le azioni sovraperformano sulla scia di un rimbalzo simultaneo di crescita economica, utili e valutazioni.

Nota: Media annualizzata dei rendimenti complessivi reali su base mensile (dati da gennaio 1919, con esclusione del periodo 2020/2021). Variazione a 6 mesi dell'inflazione annualizzata utilizzata per determinare se l'inflazione è in aumento o in calo.
Fonte: Fidelity International, Robert Shiller, ottobre 2021.

Anche i rendimenti reali sono importanti, dato il ruolo fondamentale che assumono nell'attualizzazione dei flussi di cassa futuri. Quando l'analisi dei rendimenti storici viene ripetuta tenendo conto della variabile dei rendimenti reali, si riscontra che quanto più bassi sono i rendimenti reali tanto più alti sono in genere i rendimenti azionari, ad eccezione di quando anche l'inflazione risulta elevata e in aumento. Questo è il regime in essere da marzo di quest'anno. La differenza tra i rendimenti azionari in contesti di inflazione "elevata e in aumento" e "elevata e in calo", in presenza di rendimenti reali bassi, arriva addirittura a un 20% all'anno (Figura 6). La performance storica dei Treasury a 10 anni in diversi contesti di rendimenti reali/inflazione è più omogenea, a parte gli estremi di inflazione elevata e in aumento con rendimenti reali bassi, e inflazione ridotta e in calo con rendimenti reali elevati (Figura 7). Ne deriva un modello principale secondo cui, nei periodi in cui i rendimenti reali sono bassi, il regime inflazionistico prevalente diventa determinante per i rendimenti, come ci si aspetterebbe da un'asset class che paga un interesse nominale fisso.


Nota: Media annualizzata dei rendimenti complessivi reali su base mensile dell'indice S&P Composite (dati da gennaio 1919, con esclusione del periodo 2002/2021). Rendimenti reali elevati >3%, rendimenti reali ridotti <1%.
Fonte: Fidelity International, Robert Shiller, ottobre 2021.
Nota: Media annualizzata dei rendimenti complessivi reali su base mensile (dati da gennaio 1919, con esclusione di 2002/2021). Rendimenti reali elevati >3%, rendimenti reali ridotti <1%. Fonte: Fidelity International, Robert Shiller, ottobre 2021.

Volatilità in attesa di un cambio di regime inflazionistico

L'interazione tra le perturbazioni prodotte dalla pandemia, che persistono più di quanto inizialmente previsto, e l'accelerazione delle tendenze secolari induce il mercato a interrogarsi sulla natura più temporanea o persistente dell'inflazione. Un recente aumento delle aspettative inflazionistiche e dell'incertezza, anche se per il momento modesto, dimostra come, tra consumatori e operatori del mercato, stia iniziando ad attecchire la visione della 'natura più persistente' dell'inflazione. Pur essendo convinti della natura 'persistente' dell'inflazione nei prossimi mesi, siamo consapevoli che le forze disinflazionistiche strutturali di lungo termine non sono scomparse né si sono completamente invertite.

L'innovazione tecnologica, i cambiamenti demografici e la globalizzazione non si arresteranno ma il loro impatto dovrebbe essere monitorato nel caso in cui cambi il loro modo di influenzare le tendenze dei prezzi. Inoltre, gli effetti delle tendenze inflazionistiche emergenti, come la transizione globale verso la neutralità climatica, dovrebbero essere valutati e anticipati. Le funzioni di reazione delle banche centrali giocheranno un ruolo importante nel determinare la direzione dell'inflazione. Le principali banche centrali si trovano al contempo di fronte alla prospettiva di un aumento dei prezzi e di un rallentamento della crescita; il fatto che diano priorità all'inflazione o alla crescita avrà profonde implicazioni sugli asset più dinamici. Riteniamo che, quando arriverà il momento di agire, la Federal Reserve punterà a privilegiare il trend di crescita, mantenendo i rendimenti reali a livelli estremamente depressi; di conseguenza, l'inflazione potrebbe essere lasciata libera di risalire per un certo periodo di tempo.

La storia ci insegna che un'inflazione elevata e in aumento tende ad essere dannosa sia per i rendimenti azionari che per quelli obbligazionari, soprattutto quando i rendimenti reali sono bassi, in genere perché per controllare l'inflazione i rendimenti reali devono poi salire, con ripercussioni negative per l'attività economica e le valutazioni degli asset. Tuttavia, le implicazioni per gli investimenti dell'attuale impennata dell'inflazione sono ancora incerte, poiché resta da accertare la reazione di banche centrali, consumatori e imprese. In parte, questo è dovuto alle forze disinflazionistiche strutturali che hanno dominato il contesto macroeconomico nei tre decenni precedenti la pandemia. Ciononostante, la probabilità di un cambio di regime dell'inflazione è in aumento e, di conseguenza, è probabile che assisteremo a fasi di elevata volatilità sui mercati degli asset.


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