Analisi a cura di Michele De Michelis, CIO di Frame Asset Management.
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Analisi a cura di Michele De Michelis, CIO di Frame Asset Management.
Ed eccoci di nuovo a fare calcoli e congetture su quello che decideranno i francesi alle urne. L’esperienza ormai ci insegna che non possiamo ragionare con il buon senso, perché sembra che sia più la “pancia” a entrare in gioco piuttosto che il cervello o al limite il cuore. Da parte nostra, memori di quanto accaduto nel passato, continuiamo ad avere approccio agnostico nei confronti delle decisioni politiche e delle reazioni dei mercati finanziari. Nel frattempo Trump ha fatto il suo bel discorso alla nazione e ha colpito tutti per i suoi toni così “presidenziali”, seppur sia stato abbastanza avaro di dettagli, confermando sostanzialmente la spesa di un trilione di dollari in infrastrutture e l’abbassamento delle tasse un po’ per tutti, mentre la FED mandava dei chiari segnali sull’innalzamento dei tassi, anche in considerazione della nuova politica fiscale americana.
L’assunto del mercato sembra essere che le politiche economiche di Trump saranno simili a quelle attuate da Reagan. Ricordiamo però che lo scenario economico degli anni Ottanta era totalmente differente, soprattutto a livello di debito. Giusto per dare un’idea, la percentuale del debito governativo nel 1982 nei confronti del PIL USA era del 30% contro l'attuale 77%, ma è l’ammontare del debito totale domestico (compreso quindi quello privato) a destare i maggiori timori, specie se paragonato al reddito disponibile che era del 62% e oggi invece è al 130%, mentre i tassi di interesse sui mutui erano del 16,3% di fronte al 4% odierno. Non ci vuole una laurea in matematica per capire che il popolo americano sia indebitato più di quanto guadagni e che stia pagando interessi molto più bassi rispetto al 1982. I rischi, a ben vedere quindi, sono maggiori.
Ma in che modo si può ridurre il debito? Secondo gli economisti Reinhart e Sbrancia – autori nel 2011 del paper “The Liquidation of Government Debt” - ci sono cinque soluzioni: crescita reale, aggiustamenti fiscali o austerity, ristrutturazione o default, un improvviso innalzamento dell’inflazione non preventivato, un lungo periodo di tassi di interesse tenuti forzatamente più bassi dell'inflazione. In sei anni mi sembra evidente che governi e Banche Centrali di tutto il mondo abbiano provato un po’ di tutto (escluso i default che hanno capito fanno più danni della grandine) e alla fine siano arrivati alla conclusione che l’austerity non funziona, la crescita non è mai ripartita in maniera decisa e l’inflazione men che meno. Pertanto, l'unico modo per bruciare il debito sembra sia quello di mantenere gli interessi reali negativi.
Grazie a uno studio di una società di gestione inglese ho potuto constatare che in alcuni periodi della storia nel Regno Unito è stato fatto ampio uso di questo approccio, in particolare dopo la crisi del ‘29, dopo la Seconda Guerra mondiale (immagino anche dopo la prima ma lo studio partiva dal 1933) e infine nel ’73-‘74, oltre ovviamente al periodo attuale. Ma quello che mi ha maggiormente impressionato è il livello raggiunto dagli interessi reali nel passato (ovvero il rendimento del cash aggiustato per l’inflazione), con picchi del 13-14% negli anni Settanta. Sapete qual è il miglior investimento se un simile scenario si dovesse ripetere? I TIPS a lunga scadenza. Un GILT (obbligazione governativa emessa dal Regno Unito) con scadenza 2068, con un rendimento reale negativo dell’1,4% (come a inizio 2017) costa 243 sterline ma nel caso in cui i tassi di interesse reali andassero intorno al 4% il prezzo salirebbe in area mille sterline, raggiungendo i 5-6 mila se i tassi dovessero salire fino all'8% (scenario assolutamente possibile secondo questo gestore inglese). Attenzione però anche al rovescio della medaglia, anche per dare un’idea del rischio: se i tassi dovessero tornare positivi nell’ordine del 2-2,5% (come la media dei trentacinque anni precedenti) questo titolo perderebbe il 95% del suo valore.
In considerazione di quanto espresso prima, ovvero debito alto e tassi di interesse bassi (seppur in salita) con l’espansione fiscale in atto e la spesa pubblica in arrivo è anche probabile che l’inflazione sfugga al controllo delle Banche Centrali. Motivo per cui consiglio vivamente di inserire questa asset class in portafoglio, neutralizzandone però, attraverso l’utilizzo delle opzioni, la “natura obbligazionaria” che la rende sensibile (nel breve termine) ai rialzi dei tassi di interesse nominali. Un altro modo intelligente per proteggersi dal rialzo dei tassi di interesse è mantenere in portafoglio titoli finanziari e bancari: quelli americani (anche se hanno già corso molto), i giapponesi e quelli europei (benché molto volatili).
Mi rendo conto che si possa trattare in questo momento di un consiglio banale, forse anche un po’ scontato visto che ne parlano tutti, ma chi segue la mia rubrica mensile sa che ne avevo consigliato l’acquisto a settembre e sul recente ribasso ho anche incrementato. La mia impressione in generale è che ci sia in giro una gran voglia di correzione, ma che fatichi ad arrivare perché il peso dell'equity in Europa non è poi così alto come sembra. Questo fa sì che non appena il mercato scende un po’ subito subentrino gli acquisti dei “ritardatari”. Di solito il mercato corregge quando ormai il peso azionario è aumentato a dismisura nei portafogli degli investitori e le aspettative sono a senso unico (rialziste). Nel frattempo, qualora il mercato dovesse proseguire la sua salita, sto iniziando a guardare al mercato delle opzioni put per vedere quanto costano le assicurazioni…non si sa mai.