CONTRIBUTO a cura di Robert Tipp, portfolio manager del fondo PGIM Absolute Return di PGIM Investments. Contenuto sponsorizzato.
All'inizio del 2022 ci si attendeva una crescita globale moderata, ma al di sopra del trend. Il conflitto tra Russia e Ucraina rappresenta un chiaro shock negativo al ribasso per la crescita economica, mentre spinge verso l'alto l'inflazione: dunque i rischi di stagflazione globale sono aumentati notevolmente, a nostro avviso, con un rischio di recessione in Europa al 50%.
La situazione energetica russa costituirà un freno significativo alla crescita per diversi anni; abbiamo recentemente abbassato la previsione di crescita del PIL 2022 da un tasso prebellico del 4,2% al 2,7%. L'impatto sarà asimmetrico, con Germania e Paesi Bassi particolarmente esposti per via di legami commerciali e dipendenza energetica con la Russia. Essendo un grande importatore di gas russo per mezzo di un gasdotto ucraino, l'Italia costituisce ancora una volta un elemento di vulnerabilità cruciale per la coesione e la crescita della zona euro. Ma se le forniture energetiche russe venissero interrotte del tutto, ci aspetteremmo di vedere tagli alla produzione e distruzione della domanda che porterebbero la crescita annuale della regione in territorio negativo.
Escludendo la Cina, nei mercati emergenti gli esportatori di materie prime e i Paesi che beneficiano della divario commerciale e della regionalizzazione, come Colombia e Nigeria, potrebbero beneficiare di ricadute positive. Ma molti altri, tra cui Tunisia e Cile, hanno accusato un colpo significativo alle ragioni di scambio, dato che i beni di prima necessità, come cibo ed energia, sono diventati molto più costosi. Questo, a sua volta, sta creando tensioni sociali: alcune economie dei mercati emergenti (ad esempio, Sri Lanka ed Egitto) si sono rivolte alla comunità internazionale per pacchetti di sostegno. Anche gli esportatori di petrolio e gas, che probabilmente beneficeranno di prezzi e domanda più elevati, dovranno pagare di più per le importazioni di cibo, limitando così il guadagno.
Inoltre il deterioramento della propensione al rischio, combinato con la stretta monetaria in corso negli Stati Uniti e nell'area dell'euro, rappresenta uno shock negativo, soprattutto per i Paesi che devono già finanziare grandi deficit delle partite correnti. La Turchia è particolarmente esposta a questi shock multipli.
Al contrario, l'economia statunitense è molto più isolata dal conflitto, ma le ricadute degli elevati prezzi dell'energia e del cibo a livello globale sta spingendo l'inflazione ancora più in alto, comprimendo ulteriormente il salario reale delle famiglie. Con la fine dello stimolo fiscale e condizioni finanziarie più rigide, ci aspettiamo un probabile rallentamento della domanda nel corso del prossimo anno, contribuendo a ridurre le pressioni inflazionistiche.
La Cina si trova in una posizione un po' diversa. Lo sforzo dell'anno scorso per raffreddare il mercato immobiliare ha smorzato la crescita più del previsto, implicando forti venti contrari al raggiungimento dell'ambizioso obiettivo di crescita del 5,5%. Data la nostra aspettativa di un allentamento della crescita globale, questo indica la necessità di un ulteriore sostegno politico per il raggiungimento dell'obiettivo di crescita di Pechino. Più a lungo tale stimolo viene ritardato, più sostanziale sarà la spinta politica che si renderà necessaria.
La posizione della BCE dovrebbe rimanere espansiva, con pochi segni di surriscaldamento dell'inflazione generata internamente. Detto questo, la BCE sembra pronta a porre fine agli acquisti di asset prima di fine anno e a iniziare ad alzare i tassi verso la fine dell'anno. Né il suo programma di acquisto di asset né i tassi negativi sono stati leve politiche decisive durante la pandemia, quindi se un grave rischio al ribasso dovesse cristallizzarsi nella regione potremmo assistere a una nuova serie di misure ad hoc.