Il risveglio del barile nell’ultimo mese è stato captato soprattutto dal segmento ad alto rendimento. Spinta positiva anche per gli emergenti, meno per il corporate.
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Il calo nel prezzo del petrolio da sopra 100 dollari al barile a metà 2014 a sotto 30 dollari a inizio 2016, ha rappresentato un movimento molto significativo, che ha influenzato le previsioni sull’inflazione e le azioni delle banche centrali di tutto il mondo. A un livello attorno ai 30 dollari al barile, società e Paesi produttori di petrolio si sono trovati sottoposti a tensioni che hanno influenzato direttamente la performance dei mercati finanziari in quei settori e in quei Paesi. Dato che le previsioni sugli utili per le compagnie legate al petrolio hanno comiciato a finire sotto pressione, e i mercati finanziari in generale hanno interpretato i prezzi inferiori del petrolio come un segnale di una possibile sostanziale decelerazione della crescita economica (soprattutto in Cina), la correlazione tra petrolio e mercati azionari ha toccato nuovi massimi, con i prezzi del petrolio che hanno reggiunto livelli di tensione. La forte correlazione tra la performance del mercato finanziario e il greggio quindi, proviene con tutta probabilità dall’influenza dei prezzi del petrolio sulle aspettative dell’inflazione e dalla sua relazione con la crescita economica.
Da Morningstar fanno sapere che la categoria che ha usufruito maggiormente del recente risveglio dei prezzi del petrolio, in particolare nell’ultimo mese, è stata quella dedicata ai bond high yield che, in quattro settimane (fino al 27 dicembre e in euro), ha guadagnato il 3,16%. All’interno di questo segmento gli strumenti che si sono fatti notare di più sono quelli che hanno una buona esposizione alla carta delle società petrolifere.
A proposito dell’high yield, e in particolare di quello americano, Mike Della Vedova, gestore presso T. Rowe Price, commenta, “la forza propulsiva alla base del rally dell’high yield americano e della sua sovraperformance rispetto al mercato europeo nel 2016 è stata la ripresa dei prezzi del petrolio e delle materie prime, a partire dai minimi pluriennali toccati a febbraio. Negli Stati Uniti, l’energia ha una delle ponderazioni più grandi nell’indice di settore, pesando per il 14% del BofA-ML US High Yield Index, mentre nel BofA-ML Euro High Yield index gli emittenti del comparto energetico contano solo per il 5%. Finora ciò ha costituito un vantaggio per il mercato a stelle e strisce, ma riteniamo che questo si ridurrà in futuro, poiché il rimbalzo di petrolio e materie prime è già riflesso nei prezzi”.
Anche Charles McKenzie, chief investment officer Obbligazionario di Fidelity International, da un parere positivo sulle obbligazioni ad alto rendimento, affermando che “questo segmento è uno dei pochi baluardi di reddito rimasti a disposizione degli investitori. I fondamentali sono migliorati nel corso del 2016 e i default dovrebbero diminuire nei prossimi 12 mesi, in virtù della ripresa dei prezzi dei metalli e del petrolio. Le valutazioni, tuttavia, appaiono ben bilanciate. È probabile, dunque, che siano le cedole e non la rivalutazione del capitale a fungere da principale fattore trainante della performance nel 2017”.
Per quanto riguarda gli emerging, “le fiammate del barile hanno dato una spinta anche al segmento dei bond dei Paesi emergenti”, dice Sarah Bush, analista sul reddito fisso di Morningstar. “Il segmento, tra l’altro, avrebbe potuto avere una performance migliore se non ci fossero stati elementi che hanno preoccupato gli investitori come l’elezione di Donald Trump alla presidenza Usa (che ha promesso politiche protezionistiche che potrebbero danneggiare le importazioni) e il rialzo dei tassi da parte della Fed”. La categoria dedicata al debito dei Paesi in via di sviluppo nell’ultimo mese ha guadagnato quasi il 3%. “Per quanto riguarda l’aspetto valutario, la fotografia mostra luci ed ombre”, dice l’analista di Morningstar. “Il real, il rublo e il rand si sono comportati bene nei confronti delle principali divise forti. Il peso, invece, è finito sotto pressione anche a causa delle preoccupazioni legate alla politica anti immigrazione della prossima amministrazione Usa”.
Il mese è stato meno positivo invece per il segmento corporate che, a livello globale, ha ottenuto un +1,17%. “In generale, si sono comportati bene tutti quegli strumenti che hanno in portafoglio obbligazioni di emittenti di buona qualità”, dice Bush.
Infine un parere sulla correlazione tra inflazione primaria e prezzi del petrolio da parte di Michael Hasenstab, executive vice president, portfolio manager e chief investment officer di Templeton Global Macro, “prevediamo crescenti pressioni inflazionistiche in USA nel 2017. La nostra tesi che l’inflazione sia in crescita negli USA fa perno sulle crescenti pressioni sugli stipendi in una forza lavoro statunitense che è stata in una situazione di piena occupazione per molta parte del 2016 e continua a rafforzarsi, insieme a una politica monetaria eccessivamente accomodante e a una politica fiscale destinata a espandersi. Prevediamo che l’inflazione primaria crescerà sopra al 3,0% all’inizio del 2017, considerati gli effetti base dal calo dello scorso anno dei prezzi del petrolio”.