Una delle sfide più grandi per gli investitori è distinguere i rumori di fondo dai segnali dei mercati. “Trump, oggi, è rumore”, afferma Benetti. “Conta quel che farà, non quello che dice”. Tra i segnali, invece, l’esperto individua l’andamento della tecnologia, guidato inevitabilmente dalla concentrazione nei colossi del tech statunitense. “Dobbiamo rivalutare la diversificazione, essere flessibili, avere portafogli ben articolati”, afferma. Così, l’Europa può offrire degli sbocchi potenzialmente interessanti, anche in un contesto in cui la Germania, il “motore d’Europa”, è diventata il “malato d’Europa”. Il modello tedesco, rileva Benetti, “si fondava su tre pilastri che si sono sgretolati: acquisto di gas russo a basso prezzo, export verso la Cina, e difesa affidata gli USA”. Ma investire in azioni europee non significa investire soltanto in Germania, né investire nella politica europea. “Il 60% del fatturato delle imprese europee è generato a livello globale, non domestico”, osserva ancora Benetti. Un settore particolarmente attraente, afferma, è quello del lusso: “Ci si preoccupa perché il comparto oggi sta crescendo poco, dopo 30 anni con una media del +6,5% annuo. Ma in mezzo c’è stato il Covid e poi il cosiddetto ‘revenge spending’, che ha visto un picco del +20% per il luxury. Se oggi siamo all’1% di crescita annua, è il riflusso della marea, fisiologico”. Secondo Benetti, questo è un altro esempio di rumore di mercato, che si contrappone al segnale dato dalle motivazioni strutturali che continueranno a spingere la crescita del lusso, a cominciare dai trend demografici e dalla crescita della domanda dai mercati emergenti.
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