Un anno dopo MiFID II è davvero cambiato qualcosa?

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È passato più di un anno dall’introduzione MiFID II, ma la normativa ha portato dei cambiamenti reali nell’industria del risparmio gestito? Dalle evidenze non sembra che si siano stati grossi passi in avanti e si parla ancora di scarsa educazione finanziaria e di inducement.

Secondo Andrea Rocchetti, head of Investment Advisory di Moneyfarm SIM il problema della bassa educazione finanziaria in Italia non è stato superato. “Ancora un investitore su due non ha chiaro il concetto di diversificazione o di rapporto rischio/rendimento, ma soprattutto pochissimi guardano al costo del prodotto”. Come si può far comprendere il valore aggiunto di un servizio di consulenza nel momento in cui il cliente non riesce a capire perché sta pagando di più? 

“In questa fase di mercato in cui i rendimenti sulle obbligazioni sono schiacciati e il mercato azionario è prezzato ai massimi, risparmiare sui costi di gestione è espressione di efficienza”, spiega Stefano Rossi, amministratore delegato di Euclidea SIM. "Quando selezioniamo un prodotto, la variabile 'costo' pesa il 30% così come l'abilità del gestore di generare alpha. A volte, è inutile pagare un gestore attivo su alcune asset class. Perciò l’importanza della scelta del singolo strumento in un portafoglio allargato diventa meno rilevante: ciò che fa differenza sono i costi e il timing”.

Simone Rosti, head of Italy di Vanguard ci spiega che il 2018 ha favorito lo sviluppo degli strumenti passivi, per tre ragioni: “la prima è l’introduzione di MiFID II che ha l’obiettivo di migliorare la trasparenza dei costi. La seconda sono state le scarse performance dei fondi attivi durante l’anno e la terza è la presa di coscienza delle logiche di efficienza di portafoglio”. Oggi il 95% della distribuzione è legata ancora al pagamento delle retrocessioni. “Penso che questo sistema sarà destinato a cambiare, così come lo è stato per gli altri settori, secondo logiche di efficientamento della catena distributiva”. 

In Italia siamo ancora molto indietro. In Europa nel frattempo ci sono stati diversi sviluppi: “Il mercato francese, ad esempio, è caratterizzato da prodotti che seguono una logica a vantaggio del cliente e questo non riguarda solo il mondo degli investimenti, ma anche tutti gli altri servizi finanziari. Il Germania, Olanda e Belgio sta prendendo sempre più piede il roboadvisory e le piattaforme di trading online”, spiega Vincenzo Sagone, head of ETF, Indexing & Smart Beta Business Unit at Amundi SGR. “In Italia, stiamo vedendo alcuni cambiamenti per quanto riguada le gestioni patrimoniali, fondi di fondi e unit-linked: all’interno di questi contenitori si comincia a vedere un mix tra attivo e passivo e anche portafogli costruiti da soli ETF.