Finché l’inflazione non si muoverà, le Banche centrali resteranno accomodanti

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Ken Leech, CIO di Western Asset (Gruppo Legg Mason)

Analisi a cura di Ken Leech, CIO di Western Asset (Gruppo Legg Mason). Contenuto sponsorizzato.

Tre mesi fa il mondo del reddito fisso appariva piuttosto tranquillo. La Federal Reserve, sin dall’inizio dell’anno, aveva mantenuto un atteggiamento attendista, e l’economia americana cresceva in linea con le aspettative. La Fed, nella riunione di maggio, ha mantenuto i tassi di interesse invariati, chiamando in causa lo stato di forza dell'economia, il basso tasso di disoccupazione e le condizioni finanziarie positive. I funzionari della Fed hanno minimizzato il mancato raggiungimento degli obiettivi di inflazione, attribuendolo a fattori meramente “transitori”. Nel corso della riunione del Consiglio Generale della BCE del 6 giugno il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha dato una valutazione ottimistica della crescita europea, rilevando che c'erano poche possibilità che avvenisse una recessione nel vecchio continente. Draghi ha inoltre osservato che gli strumenti politici a disposizione della BCE erano adeguati in caso di rischi al ribasso ed ha confermato che non vi era alcun problema immediato all'orizzonte. In condizioni del genere un investitore a reddito fisso, in fase di analisi del proprio portafoglio, non aveva ragioni per essere troppo preoccupato.

Grafico 1: quota USA dei rendimenti obbligazionari investment grade globali

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Fonte: BofA Global Broad Market Index. Aggiornato al 15 Agosto 2019. 

Saltiamo alla situazione odierna: i rendimenti in tutto l'universo dell’investment grade globale sono crollati; 16,7 trilioni di dollari debito vengono scambiati a rendimenti negativi. Il mercato americano è l'unico in cui i rendimenti positivi sono disponibili in abbondanza, con gli Stati Uniti che hanno il 95% dei rendimenti positivi nell’universo investment grade (Grafico 1). La BCE nei mesi scorsi ha fortemente insistito sul fatto che ridurrà i tassi di interesse e sta prendendo in considerazione la possibilità di ripristinare anche il quantitative easing (QE). Negli Stati Uniti, la Fed ha tagliato i tassi di interesse lasciando intendere che stiano arrivando ulteriori tagli. Insomma, oggi un investitore obbligazionario si trova in una posizione davvero complicata.  I rendimenti nei paesi sviluppati sono ai minimi storici o quasi, gli spread sono più ridotti di quanto non siano stati in passato e, cosa più importante, ci sono pochissime possibilità che le banche centrali forniscano tassi di interesse più elevati in uno scenario futuro ragionevolmente prevedibile.

Grafico 2: G3 Tassi di inflazione breakeven a 5 anni

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Fonte: Bloomberg. Dati aggiornati al 16 agosto 2019. 

Nelle ultime settimane due cose sono cambiate. Le prospettive globali sono peggiorate, in particolare per i settori manifatturieri di tutto il mondo, in quanto l'incertezza sulla guerra commerciale continua a pesare gravemente sulle spese in conto capitale. Fatto altrettanto importante, il quadro dell'inflazione globale si è mosso verso il basso. Le aspettative di inflazione sono decisamente diminuite. I mercati sembrano mettere in dubbio il fatto che i policymaker possano effettivamente raggiungere i loro obiettivi di inflazione al 2% in Giappone, Europa e ora persino negli Stati Uniti (Grafico 2). Questi sviluppi hanno forzato le banche centrali a muoversi verso politiche monetarie più accomodanti, e ad aumentare la loro enfasi sui temi legati all’inflazione, oltre alle tradizionali previsioni in merito al PIL.  

Il governatore della Banca del Giappone, Haruhiko Kuroda, ha parlato della sfida di aumentare le aspettative di inflazione in una società che non vede praticamente alcuna inflazione da oltre una generazione. La sua soluzione è al momento promettere di attuare una politica monetaria straordinariamente accomodante fino a quando l'inflazione non superi l'obiettivo per "un periodo di tempo prolungato".  

In Europa Draghi ha di che preoccuparsi. La crescita è rallentata. L'incertezza commerciale globale pesa molto sulla Germania, dove il rischio di una recessione tecnica è decisamente reale. La Brexit complica significativamente le prospettive di crescita. Inoltre, c’è la cronica incapacità di raggiungere i target di inflazione che è alla base della politica monetaria estremamente accomodante della BCE. In effetti, l'ulteriore ridursi delle aspettative di inflazione ha dato il la all’intenzione di ulteriori tagli dei tassi e potenzialmente ad una nuova attuazione del QE. E anche se anche in questo caso l’obiettivo sembri molto distante, anche Draghi si è espresso riguardo alla necessità che l’obiettivo di inflazione venga raggiunto e superato per un periodo di tempo significativo.

Guardiamo poi alla svolta accomodante decisa dalla Fed a giugno. Con la disoccupazione ai minimi da decenni, il mercato azionario che segna record positivi e i dati sul PIL che seguono le previsioni, una politica accomodante della Fed sarebbe sembrata praticamente inconcepibile sulla base dell'approccio utilizzato negli ultimi 30 anni. Al massimo si potrebbe giustificare una sorta di taglio “come assicurazione” in ottica di risk management.

È importante sottolineare che un approccio incentrato sull'inflazione comporta implicazioni significativamente diverse. La Fed ha previsto il ritorno dell'inflazione al di sopra degli obiettivi in ​​ciascuno degli ultimi otto anni, ma non ha mai raggiunto il risultato. L'inflazione rimane al di sotto dell'obiettivo e le aspettative di inflazione di inflazione sono in calo. Il presidente della Fed, Jerome Powell, ha scritto e parlato a lungo delle persistenti e strutturali sfide poste dall’inflazione. Ha sottolineato la necessità di raggiungere una "credibilità sull’inflazione" (vale a dire convincere gli attori economici che un giorno l'obiettivo sarà raggiunto). In questo contesto, la direzione della politica monetaria non potrà che essere espansiva.

Alla luce di ciò, vorremmo fare due considerazioni sulle prospettive per gli investimenti. Nel breve termine, riteniamo che l'accresciuto pessimismo intorno alla crescita globale e degli Stati Uniti in particolare sia esagerato. Se la crescita si dimostrerà resiliente, la Fed avrà il tempo per formulare una linea più appropriata. Chiaramente però la crescita globale dovrà tenere. L'ansia sulla crescita e sulla politica della Fed causerà una maggiore volatilità per le attività a rischio.

Per quanto riguarda il lungo termine, riteniamo che la prospettiva di un ritorno a politiche monetarie più restrittive da parte delle banche centrali richiederà molto tempo. L'incapacità di raggiungere – o superare, addirittura – l’obiettivo di inflazione non può che far riflettere. Riteniamo che la possibilità di un eventuale restringimento da ora in avanti sarà approcciata con un atteggiamento “wait and see”.  Non ci saranno più rialzi dei tassi basati soltanto sulle previsioni della banca centrale. Invece, l'inflazione dovrà effettivamente verificarsi, e solo quando supererà l'obiettivo mantenendosi per un "periodo di tempo significativo" al di sopra dei target (ossia almeno un anno), torneremo ad assistere ad un rialzo dei tassi. Quando accadrà? A nostro parere, di certo non a breve.