Marchioni (BlackRock): “Un profondo rinnovamento per i portafogli grazie agli ETF”.

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Ursula Marchioni, responsabile portfolio consulting, BlackRock EMEA

Siamo agli inizi di un cambiamento di paradigma nella costruzione dei portafogli degli investitori istituzionali europei ed italiani. La crescita del mercato degli Exchange Traded Fund (ETF) è un trend consolidato e di cui sentiamo molto parlare; tuttavia siamo ancora nella sua fase iniziale, e presto vedremo una forta accelerazione dovuta ad un profondo rinnovamento nelle pratiche di costruzione di portafoglio. Ad affermarlo è Ursula Marchioni, responsabile portfolio consulting di BlackRock EMEA. Alla fine dello scorso anno a livello globale sono stati superati i 6.300 miliardi di dollari statunitensi di assets under management (AUM) in ETF, con una rapida crescita degli obbligazionari che hanno oltrepassato i 1.000 miliardi di dollari. Una forte accelerazione che ha portato molti investitori a porsi domande sul futuro delle gestioni attive nei confronti degli strumenti indicizzati. “Contrapporre gestione attiva e passiva è un modo sbagliato di affrontare la questione”, afferma Marchioni, “siamo ancora in una fase iniziale dello sviluppo della gestione indicizzata, i tassi di crescita sono molto alti ma partivamo da una ‘base’ bassa: a livello globale le securities detenute dagli ETF sono pari a circa il 5-6% del totale, e la maggioranza dei portafogli – nel segmento Wealth in Europan circa il 20% (Stime BlackRock, sulla base di dati Morningstar, fine 2019) – è investito in fondi attivi” spiega. 

I motivi della crescita degli ETF

Gli investitori finali continuano ad avere necessità di generare ritorni; tuttavia, viviamo in un contesto di tassi bassi, dove le leve per generare tali rendimenti si sono ridotte. La MiFID ha contribuito al processo di trasformazione in atto – in particolare ponendo una maggiore attenzione ai costi e alla trasparenza – e oggi si iniziano a vedere i primi effetti.  Pertanto, i distributori – come le grandi società di gestione del risparmio, che gestiscono portafogli multi-asset – ricercano nuovi drivers di rischio/rendimento. “La possibilità di confrontare in modo semplice ed immediato la performance ottenuta a fronte di una fee”, spiega Marchioni “è un aspetto rilevante a favore degli ETF che ha impattato sui comportamenti degli investitori finali. A questo scenario si aggiunge il contesto macro economico che possiamo definire «lower for longer», vale a dire di rendimenti bassi sul lungo periodo. “A fronte di bisogni invariati degli investitori (la protezione previdenziale e gli studi dei figli ad esempio)”, sottolinea Marchioni, “le leve per generare rendimento sono diventate più contenute: il ritorno di un classico portafoglio ripartito in 60% azionario globale mercati sviluppati e 40% obbligazionario globale, negli ultimi 10 anni è stato di circa l'8,5% all'anno, mentre per i prossimi 10 anni la previsione di BlackRock si attesta attorno al 3,5% in media all’anno”, spiega. “E’ chiaro che quello che ha funzionato in passato non funzionerà in futuro”.

In questo contesto complesso, un catalizzatore di cambiamento positivo è portato dallo sviluppo tecnologico, che “ha reso realizzabili nuovi approcci e temi di investimento per i clienti”, conclude Marchioni.  

L’unione di questi tre fattori – scenario macro, regolamentazione e tecnologia – delinea un fenomeno che Marchioni definisce di performance unbundling, che in italiano può essere tradotto con “scomposizione della performance”. “In origine gli ETF, nati largo circa trent'anni fa in Nord America, davano accesso all’azionario delle US large cap, rappresentato dallo S&P 500, e pochi altri indici”, osserva l’esperta di BlackRock “oggi la granularità dell’offerta è senza precedenti. In aggiunta a nuovi e specifici settori, aree geografiche e sotto segmenti dell’azionario, questi strumenti sono diventati un veicolo efficiente anche per altre asset class come l’obbligazionario”, spiega. Come conseguenza “la disponibilità di benchmark più precisi ed efficienti ha portato alla disintermediazione di tutte quelle strategie che storicamente erano vendute come attive, ma il realtà si esponevano ‘staticamente’ a specifici settori, come per esempio le azioni a piccola capitalizzazione. Queste esposizioni ‘statiche’ sono ora disponibili, spesso ad un prezzo più contenuto e tramite quotazione continua su mercati regolamentati, tramite ETF”, afferma Marchioni. “La gestione attiva mantiene e manterrà un ruolo fondamentale nel portafogli, ma ci saranno delle variazioni  e una rifocalizzazione su segnali unici e non replicabili in un indice”, conclude. “Pensiamo alle strategie alternative; unconstrained nell’obbligazionario; basate su intelligenza artificiale o big data nell’azionario – per dare solo qualche esempio”.

ETF: solo una questione di costi?

In un contesto di tassi bassi, gli ETF hanno il vantaggio di avere costi più accessibili. Ma il prezzo non è l’unica ragione del loro successo. “Le gestioni indicizzate, e gli ETF in particolare, permettono di gestire in modo più diretto il rischio e rappresentano una soluzione semplice per esprimere view di asset allocation”, afferma Marchioni. Infine la loro liquidità è di conforto per gli investitori, specialmente in momenti di shock esogeni dei mercati (come il coronavirus in questo periodo), dando la possibilità di operare molto rapidamente. In conclusione per Ursula Marchioni la gestione indicizzata crescerà in maniera rilevante, “portando i portafogli dei gestori Europei ad esprimere una fusione più bilanciata tra i diversi tipi di strategie attive e passive”, conclude.