Opinione a cura di Anthony Doyle, Investment Director Retail Fixed Interest, M&G Investments.
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Trentacinque su quarantuno economisti intervistati da Bloomberg si aspettano che il 17 settembre la FOMC alzi i tassi d’interesse, iniziando di conseguenza una fase di normalizzazione. Molti hanno puntato il dito sulla dichiarazione di luglio della FOMC che ha evidenziato i migliori dati nel mese di giugno e suggerito alcuni progressi verso le condizioni per un decollo. Questi economisti che prospettano un rialzo dei tassi dicono che l’economia USA è in ripresa da un periodo invernale più fiacco, che il mercato del lavoro continua a migliorare, e che l’inflazione core è relativamente ferma (il PCE – Personal Consumption Expenditure - core è all’1.3% anno su anno), dando alla FOMC la tranquillità di iniziare il lungo processo di distensione delle politiche monetarie ultra accomodanti.
D’altra parte i mercati stanno prezzando una probabilità del 50% di un rialzo dei tassi. Chiaramente, il rialzo di settembre non è cosa già fatta, in particolare dopo i deboli risultati del report ECI (Employment Cost Index) resi pubblici un paio di settimane fa. Il rialzo dello 0.2% dell’ECI a giugno ha infranto l’accelerazione negli stipendi e salari cominciata un anno fa. Per una FOMC che sta guardando con attenzione alle condizioni del mercato del lavoro, il dato debole dell’ECI mette in dubbio le previsioni degli economisti.
Solo un paio di anni fa, molti economisti si stavano fissando nel predire l’inizio del tapering da parte della Fed. A quel tempo, c’era un largo consensus rispetto al fatto che Ben Bernanke avrebbe segnalato il tapering all’inizio del maggio 2013, e molti hanno preso in considerazione questo dato di fatto nelle loro previsioni. Sappiamo che la FED non agì in tal senso, e molti all’interno della comunità finanziaria si fecero un esame di coscienza, tanto che fu coniata un’espressione (la ‘finta’ della Fed) per fare luce su come la maggior parte degli economisti avesse sbagliato.
La Fed ci ha continuato a dire che la politica monetaria dipende dai dati, e non è predeterminata. I prossimi dati sull’occupazione saranno estremamente importanti nel determinare se la Fed alzerà davvero i tassi oppure no – la decisione sembra così essere vicina. Ma possiamo trarre qualche lezione dal comportamento della Fed nel settembre 2013, quando sorprese i mercati decidendo di proseguire con il QE?
Considerando alcuni dati economici nazionali sembra che l’economia USA sia su un sentiero più solido rispetto al settembre 2013. La crescita è solida, il tasso di disoccupazione è basso, la fiducia dei consumatori è più alta e l’ISM Manufacturing Index suggerisce che l’economia continuerà a crescere. Sfortunatamente per coloro che chiamano un rialzo dei tassi, l’inflazione è molto più bassa, le vendite retail sono stagnanti e, nel prossimo futuro, il dollaro non sarà un vento a favore per le società USA. Inoltre, lo scenario economico globale è ben più debole ora rispetto al 2013, viste le preoccupazioni sulla crescita della Cina e la conseguente debolezza dei mercati emergenti, il rischio di ricadute in Europa dall’incertezza sulla Grecia, e un potenziale referendum sulla permanenza inglese in Europa nel 2016.
Quest’analisi suggerisce che un rialzo dei tassi della Fed a settembre non è un dato di fatto. Gli economisti intervistati da Bloomberg provano probabilmente qualche conforto a muoversi in gruppo. Dal mio punto di vista è meno importante questo eventuale rialzo dei tassi della Fed, rispetto al determinare se il tasso finale dei fondi federali si trovi in un potenziale ciclo di rialzo dei tassi. Un indirizzo di questo tipo sarebbe probabilmente inusualmente lento, cauto e ben annunciato ai mercati. Se fosse questo il caso, allora la reazione dei mercati obbligazionari sarebbe relativamente innocua se paragonata a precedenti rialzi dei tassi della Fed. Allo scopo di vedere i rendimenti obbligazionari aumentare, sarebbe richiesta una rivalutazione delle aspettative di inflazione. Un rialzo del dollaro, crescita salariale positiva, alti livelli di debito dei consumatori, e prezzi delle materie prime in discesa ci suggeriscono che ciò avverrà difficilmente nel breve termine. Di conseguenza, qualsiasi reazione dei mercati a un rialzo dei tassi a settembre sarà probabilmente attenuata rispetto a quanto avvenuto in precedenza.