Perché è così difficile veicolare gli investimenti verso l’economia reale?

Funds People
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Si parla ancora tanto degli investimenti in economia reale e di come le risorse finanziarie possono essere veicolate a sostegno dell’economia. Ma è davvero cambiato qualcosa negli ultimi anni? Guardando ai numeri la risposta è sì.

Prima di parlare del tema è importante mettersi d’accordo sul significato da attribuire. Con economia reale s’intende tutto ciò che ha a che fare con l’ambito produttivo e distributivo di beni e servizi, dal settore industriale, commerciale e infrastrutturale fino ad arrivare al real estate. Il comparto finanziario quindi può contribuire al trasferimento di valore al sistema Paese, supportandone lo sviluppo e creando circoli virtuosi.

“Questo mercato vale circa 6.000 miliardi di dollari statunitensi nel mondo, nello specifico 1.400 miliardi in Europa. Quindi in termini percentuali, rappresenta circa il 6% del Prodotto interno lordo europeo”, spiega Stefano Manservisi, head of Alternative Fixed Income di Generali Investments Partners. “In Europa gli investimenti privati sono storicamente più sviluppati in alcuni Paesi come Francia e Regno Unito, più maturi in questo ambito, essendo stati in Europa i precursori in questo segmento dell’economia. In tale contesto il private debt è cresciuto molto negli ultimi 11 anni, passando da investimenti per 25 miliardi di euro a oltre 200 miliardi. Questo già da un’idea di come i capitali privati si stiano indirizzando verso l’economia reale”.

Anche secondo Federico Marzi, head of Business Development di Fideuram Investimenti SGR, il comparto sta vivendo un momento di forte sviluppo. “Si è fatto di più negli ultimi tre anni che nei dieci precedenti. Tuttavia, ancora oggi, nel nostro Paese, c’è ancora una certa ritrosia nel veicolare gli investimenti verso l’economia reale: solo il 2% del private banking italiano investe in questi mercati.”, spiega Marzi. “Gli investitori individuali, a differenza degli istituzionali, hanno avuto accesso limitato a questa tipologia d’investimento a causa di alcune caratteristiche strutturali degli stessi, quali l’orizzonte temporale medio-lungo, il basso grado di liquidità dell’investimento e soglie di accesso piuttosto elevate”.

Le aziende italiane sono spesso sottocapitalizzate e culturalmente e storicamente abituate a ricorrere al sistema bancario, che rappresenta circa l’85% delle fonti di finanziamento. “Il paradigma è un po’ saltato per due ragioni: la prima è la crisi degli NPL, che ha obbligato molti istituti a diminuire i finanziamenti alla piccola e media impresa. La seconda è la riduzione degli sportelli bancari a seguito delle molte operazioni di concentrazione del settore, che ha portato, in particolare fuori dalle grandi città, ad allentare il cordone ombelicale tra banche e imprese”, spiega Marco Rosati, amministratore delegato di Zenit SGR. “Molte aziende, soprattutto quelle guidate da imprenditori giovani, hanno iniziato ad affacciarsi al mercato dei capitali alla ricerca di fonti di finanziamento alternative e complementari al canale bancario”, ha aggiunto. 

Azimut ha cercato di superare queste difficoltà offrendo questo tipo di prodotti a una clientela più allargata. Luigi Glarey head of Corporate Governance di Azimut Libera Impresa SGR, rivela come il Gruppo abbia seguito alcune fondamentali linee guida:

  • Creare una cultura: “è un mondo nuovo per cui è necessario creare una nuova cultura e in questo è fondamentale il dialogo con le autorità di vigilanza”.
  • Togliere i blocchi all’investimento: "in Azimut abbiamo affrontato questo tema, riducendo le soglie di ingresso all’investimento. Secondo noi questo è stato il più grande limite allo sviluppo di questi prodotti. Abbiamo quindi abbassato la soglia a 5.000 euro per gli investimenti in private equity, con il fondo Demos I, e in venture capital, con il fondo ITALIA 500, appena lanciato. Questo permette di ampliare notevolmente l’accesso a queste nuove asset class, anche per esempio a investitori under 40”.
  • Nuovi Paradigmi: “bisogna avere uno spettro d’investimento globale e aumentare la diversificazione geografica e settoriale”.