Axa IM, quanto ha “realmente” alzato i tassi la Fed dall’inizio della normalizzazione

Fabiano Galli, Senior Sales Manager, Axa IM
Fabiano Galli, Senior Sales Manager, Axa IM

La Federal Reserve aveva stabilito che non sarebbe andata sotto zero a differenza di quanto deciso dalla Banca Centrale Europea. Se però si calcola l’effetto che il quantitative easing ha avuto sui tassi di interesse effettivo, ci accorgiamo che nell’America pre-normalizzazione si sono toccati picchi che portano in territorio negativo. Dal minimo ad oggi, considerando l’uscita della Banca Centrale americana dal QE, il rialzo effettivo dei tassi negli USA è stimabile intorno ai 700 punti base. Dato particolarmente importante, considerando che l’episodio di maggior rialzo risalente al governatorato di Greenspan era stato nell’ordine dei 400 punti base”. Fabiano Galli, senior retail sales manager di Axa IM, mette in luce con l’aiuto di un grafico una realtà poco sottolineata, ma molto rilevante per l’attuale contesto obbligazionario che segna, inoltre, una profonda differenza tra i titoli obbligazionari denominati in dollari e quelli denominati in euro.

Modelli di Politica Monetaria

Perché preferire l’high yield USA

“La Fed a gennaio ha cambiato atteggiamento dichiarando che la propria politica sarà legata ai fondamentali dell’economia, la crescita in primis. Questo può anche significare che potrebbe effettivamente esserci un rialzo nel 2019, cosa che il mercato attualmente non sembra tenere in considerazione, a fronte di un rallentamento contenuto dell’economia rispetto all’anno passato, ma la maggior parte dei rialzi dei tassi è comunque alle spalle”, afferma Galli. Il senior sales manager di Axa IM fa inoltre notare come gli Stati Uniti abbiano già vissuto il taper tantrum e come una buona scrematura sull’obbligazionario ad alto rendimento sia già avvenuta a seguito dell’inasprimento della politica monetaria. “In Europa queste tre cose non sono ancora accadute”, prosegue, “e se contiamo che il mercato high yield americano è come dimensioni, sia in termini di volumi che di emittenti, molto più esteso, a parità di bontà del modello di business e della capacità di generare utili delle aziende, riteniamo debba essere preferito”.

Home bias valutario

Il vero vento contrario per l’esposizione al comparto obbligazionario ad alto rendimento statunitense è rappresentato per gli investitori europei dal costo di hedging.  “Tutte le principali banche di affari sono molto bearish sul dollaro per l’anno in corso, ma il consensus non è mai stato garanzia di nulla”, sottolinea Galli. Nel 2018 il biglietto verde ha finalmente scontato l’allargamento del differenziale dei tassi ed è molto difficile secondo gli analisti di Axa IM che si rivaluti ulteriormente. Il rapporto euro-dollaro è però determinato anche dal potenziale di crescita economica che pende a favore dell’area dollaro. “Il punto più importante”, dichiara Galli in relazione all’orientamento da assumere a fronte di fattori discordanti, “è capire cosa determinerà i flussi, elemento più rilevante per i movimenti valutari. In questo momento non si notano forti motivazioni per vedere un forte afflusso di denaro verso l’euro”. Difficile dunque che si verifichino significativi movimenti, così come che si riduca il differenziale dei tassi tra l’area euro e area dollaro dal momento che la Banca Centrale Europea non mostra nessuna fretta nell’intraprendere la via della normalizzazione. L’esito più probabile di questa dinamica è che l’hedging continuerà a costare molto, nell’intorno dei 2,5 punti percentuali. “Qui si innesta un problema più ampio”, conclude il senior sales manager della società francese, “e cioè quello del tradizionale sottopeso del dollaro negli investitori italiani. Essere prudenti nei confronti delle valute non significa che non si possa avere un 10% di portafoglio investito in dollari. Fattore che contribuirebbe, inoltre, a una maggiore diversificazione”.

Grafico: "The Zero-Lower Bound", fornito da Axa Investment Managers, fonte: Bloomberg