Il V Rapporto sulle scelte finanziarie delle famiglie italiane rivela che oltre il 30% dei nostri connazionali non sa cosa siano conti correnti, azioni, obbligazioni, fondi comuni e Bitcoin mentre solo un 20% dichiara di affidarsi a un consulente finanziario.
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Non sono dati rassicuranti quelli contenuti nel V Rapporto Consob sulle scelte finanziarie delle famiglie italiane. Se poi si tiene conto del fatto che l’indagine è stata pubblicata a poca distanza di tempo dalla fine del mese dedicato all’educazione finanziaria nel nostro Paese, le percentuali fanno ancora più riflettere. In linea con le rilevazioni degli anni precedenti, la cultura finanziaria dei nostri connazionali si conferma molto contenuta: il 21% degli intervistati non conosce nessuna delle nozioni di base (inflazione, relazione rischio/rendimento, diversificazione, caratteristiche dei mutui, interesse composto) e avanzate (riferite ai titoli obbligazionari) proposte nella Survey mentre oltre il 30% del campione ignora cosa siano conti corrente, azioni, obbligazioni, fondi comuni e Bitcoin.
Di riflesso, anche la pianificazione e il controllo delle scelte finanziarie risultano ancora poco diffusi: solo un terzo degli intervistati ha un piano finanziario e di questi poco meno del 40% ne monitora l'avanzamento in modo dettagliato, annotando le spese. La mancanza di risparmi rappresenta il maggior deterrente all'investimento, seguito dalla mancanza di fiducia nel sistema finanziario. A fine 2018, il 30% delle famiglie italiane dichiara di possedere almeno un'attività finanziaria, rappresentata da fondi comuni e titoli di Stato italiani, rispettivamente nel 26% e nel 18% dei casi.
L’indagine ha confermato, inoltre, che le scelte finanziarie vengono prese ancora soprattutto dagli uomini e che la maggioranza degli italiani si mostra avversa al rischio e alle perdite: con particolare riferimento a quest'ultimo aspetto, circa due terzi degli intervistati affermano di non essere disposti a investire in un prodotto che presenti una sia pur ridotta possibilità di perdita del capitale, mentre il restante 37% si dichiara tollerante verso piccole perdite
Il ruolo della consulenza
Un altro dato particolarmente preoccupante riguarda le modalità in base alle quali gli italiani prendono le proprie decisioni di investimento. Il 20% degli individui, infatti, si affida a un consulente finanziario o a un gestore che consulta anche in fase di monitoraggio del proprio portafoglio mentre il 40% degli investitori ricorre alla cosiddetta ‘consulenza informale’, ossia ai consigli di amici e parenti (talvolta attivi nel settore finanziario), e altrettanti decidono in autonomia.
Tuttavia, chi si affida a un servizio di consulenza finanziaria assegna un ruolo chiave alle competenze del professionista prescelto: in circa il 60% dei casi, infatti, prevale la propensione a seguire sempre la raccomandazione ricevuta. La scelta del consulente è guidata prevalentemente dalle competenze del professionista, seguita dalla fiducia che questi riesce a ispirare nel cliente e dalla segnalazione proveniente da un soggetto ritenuto affidabile (famigliari, amici, istituto bancario di riferimento).
La remunerazione della consulenza rimane un elemento poco considerato, sia perché la maggioranza degli individui ritiene che il servizio sia prestato a titolo gratuito sia perché la disponibilità a pagare è molto bassa anche tra gli investitori assistiti da un esperto.
Focus sugli SRI
Il Focus del Rapporto 2019 è dedicato agli investimenti sostenibili e socialmente responsabili, ancora poco conosciuti dai risparmiatori italiani: se il 40% degli intervistati dichiara di averne almeno sentito parlare, solo il 5% si ritiene bene informato. Le fonti informative prevalenti sono i media e il web, mentre il ruolo dei consulenti finanziari resta secondario anche nel sottogruppo degli investitori. Nel complesso, solo il 5% degli investitori dichiara di avere prodotti SRI nel proprio portafoglio (18% nel sottocampione di coloro che si dichiarano informati e che sono seguiti da un consulente).
L'interesse potenziale negli SRI sfiora il 40% del campione, che nella maggior parte dei casi si dichiara attento ai profili finanziari dell'investimento; un quarto del campione non è interessato in alcun caso, mentre più di un terzo non è in grado di esprimere un'opinione. La mancanza di interesse nei prodotti SRI viene ricondotta all'assenza di risparmi da investire nel 47% dei casi (28% per il sottocampione degli investitori, che paiono dunque percepire questa tipologia di prodotti come non fungibile rispetto agli investimenti ‘tradizionali'), seguita dal fatto di non aver mai ricevuto proposte di investimenti in tal senso e dalla mancanza di fiducia.