Does Italy love drama?

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Il movimento del mercato obbligazionario europeo degli ultimi quattro mesi ha riacceso vecchie e note paure legate al riemergere di ciò che viene percepito e considerato “rischio” dagli investitori, domestici o meno che siano. 

Partiamo dall’evidenza di mercato: l’Italia attualmente è trattata come un Paese non investment grade, e in alcune occasioni alla stregua di un emerging market. Basti osservare la reazione della curva Italia al recente sell-off di Turchia e Paesi emergenti in generale. L’acuirsi della percezione del rischio Paese è legata al nuovo assetto politico e all’incertezza del tasso di deficit che sarà presentato nella prossima Legge di bilancio (flat tax, riforma pensioni e reddito di cittadinanza).

Roberto Scisci, gestore di GFG Groupe, spiega a Funds People che "sforare il tetto del 3% non è di per sé sintomo di un Paese alla deriva, soprattutto quando le spese previste nella riforma hanno carattere strutturale e di ampio respiro, come potrebbero essere ad esempio investimenti in conto capitale, quali beni pubblici e infrastrutture. La Francia è rimasta sopra il 3% per più di un lustro, con punte fino al 7%. E se consideriamo il debito francese nel suo complesso, ovvero includendo anche le agenzie governative, lo sarebbe tuttora. Certo, sul Belpaese grava il rapporto debito/PIL (di oltre il 130% contro il dato francese, intorno al 100%)".

Ancora più importante è la credibilità e la capacità comunicativa messa in campo dagli esponenti politici ed istituzionali, che troppo spesso risulta incoerente e contraddittoria. "Questo si traduce in variazione dell’outlook delle agenzie di rating e ad un sell-off generale dal debito sovrano", spiega il manager.

"Rispetto ad altri Paesi che si sono trovati in situazioni di complessità e difficoltà, e a prescindere dal lato politico di ognuno di noi, l’Italia ha una carta in più da giocare: l’Unione Europea, che in questo momento è duttile, flessibile e possibilista, è addirittura disposta ad un dialogo costruttivo. A Bruxelles hanno sicuramente compreso che un’Unione non può reggersi esclusivamente sulla moneta, che ha bisogno di aprirsi al nuovo che avanza, e che l’Italia possa essere una risorsa attiva in questa direzione, e non un nemico da combattere. Non conviene a nessuno degli attori in gioco".

L’Italia potrà giocare un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’UE, la quale, partendo da valori condivisi, ambizioni e obiettivi, non può ridursi ad una mera Unione Monetaria. "Alla luce di tutto ciò, e tornando ad un’ottica di breve periodo, in questa fase probabilmente lo spread resterà in un trade range di 250-290, per poi prendere una direzionalità nel prossimo trimestre a seconda di come la riforma sarà presentata e percepita. Nel migliore degli scenari, la normalizzazione porterebbe il valore dello spread a 10 anni verso quota 180-200. In caso contrario, difficile prevedere l’esatto valore, ma riteniamo che 400 bps rappresentino un target plausibile", conclude Scisci.