Fixed income, meglio attivi o passivi nelle fasi di ribasso?

Francesco Lomartire, Responsabile di SPDR ETFs per l’Italia
Francesco Lomartire, Responsabile di SPDR ETFs per l’Italia

Bolla di internet, crisi finanziaria del 2008, crisi del debito sovrano, in particolare del debito greco, e crollo del prezzo del petrolio del 2015. Cinque periodi di forte correzione dei mercati che hanno segnato gli ultimi vent’anni che SPDR ETF ha deciso di analizzare per provare a sfatare uno dei miti sull’investimento passivo obbligazionario. Quello cioè che la mancata possibilità per un investitore di contare sulla flessibilità dell’azione di un portfolio manager costituisca di per sé un decisivo svantaggio nei periodi di forte e generalizzata discesa delle quotazioni. “Paragonando l’indice Bloomberg Barclays Euro Aggregate al complesso dei fondi attivi della categoria Morningstar corrispondente”, spiega Francesco Lomartire, il responsabile di SPDR ETFs per l’Italia, “scopriamo che l’indice risulta essere il migliore in termini di performance assoluta in tre di questi cinque periodi, trovandosi nei restanti due sempre al di sopra del valore mediano”. “Nei periodi di alta volatilità non sono emerse”, argomenta Lomartire, “sottoperformance dell’indice, dato che il 77% dei gestori analizzati ha fatto registrare performance peggiori del Bloomberg Barclays Euro Aggregate nei periodi di maggior stress dei mercati”.

Una modalità di analisi che SPDR ha ripetuto anche su asset classes complesse come il debito emergente, prendendo in questo caso in considerazione il periodo tra il 2013 e il 2018. “Sei anni in cui”, sottolinea il responsabile di SPDR ETFs per l’Italia, “la percentuale dei gestori attivi attivi con strumenti in valuta locale che sono stati in grado di battere l’indice JP Morgan GBI Emerging Markets Diversified è risultata scarsa, con picchi negativi che sono arrivati a toccare il massimo nel 2018 quando il 97% dei portfolio manager è stato battuto dall’indice”.

Attivo e passivo, mondi interconnessi

“Il nostro studio non vuole dimostrare l’assoluta superiorità di uno stile di gestione su un altro”, spiega il responsabile di SPDR ETF’s in Italia, “ma sfatare alcuni miti sugli ETF obbligazionari che costituiscono un limite alla diffusione della conoscenza e al corretto utilizzo di strumenti adatti a specifiche fasi di mercato e a esigenze di allocazione”. Una visione che riconosce alla gestione attiva un ruolo importante sia in termini di possibilità di investimento, in assenza di view particolarmente forti in termini di asset allocation, che di equilibrio e efficientamento dei mercati e degli indici. “Per noi è vitale che ci sia la gestione attiva”, rivela Lomartire, “perché il portfolio manager svolge indirettamente un ruolo fondamentale nel determinare la composizione degli indici operando da equilibratore delle errate valutazioni dei titoli”.

Nuove tipologie di investitori

Mondi interconnessi non solo sui mercati, ma anche nei portafogli modello di una platea sempre più ampia di investitori, con il comparto fixed income a rivestire un ruolo molto importante per il mercato italiano, come testimonia il dato relativo al 2018 in cui il 70% dei flussi su ETF è arrivato dagli obbligazionari. “Ad utilizzarli sono sempre di più i player sofisticati”, fa notare Lomartire. Private banking e wealth management, infatti, stanno entrando in modo sempre più deciso nell’investimento in strumenti passivi. Ci sono però una serie di tecnicalità per la gestione delle quali è necessario sviluppare una serie di competenze all’interno di queste strutture. “La capacità di analisi di costruzione degli indici e di valutazione della replica sono fondamentali nella scelta di un ETF”, afferma il responsabile di SPDR ETFs in Italia, poiché è in gioco la rappresentatività dell’asset class a cui si ha intenzione di esporsi”. “Molto importante”, prosegue, “è anche l’aspetto della liquidità che richiede una grande sofisticatezza per capire tutti i meccanismi che sono posti in essere dall’emittente, dall’infrastruttura e dal mercato secondario”. Temi di trading si combinano con aspetti legati alla specificità delle singole asset classes su cui insistono gli strumenti passivi, determinando una complessità che i team di selezione dovranno sempre più essere in grado di gestire compiutamente per arrivare ad integrare l’utilizzo della gestione passiva.