Fracassi (MainStreet Partners): "Il downgrade dei fondi ESG è solo una maturazione del sistema"

Rodolfo Fracassi, foto concessa (MainStreet Partners)

Se il business è cresciuto tra il 40 e il 60 per cento all’anno (negli ultimi quattro) così come conferma il co-fondatore e managing director Rodolfo Fracassi, non è difficile immaginare perché dal 2018 a oggi MainStreet Partners abbia fatto la rivoluzione. Tanto da diventare sempre più internazionale, ricca di dati, rating e prodotti al servizio dell’asset management, con un team di oltre 40 persone. Tanto da essere stata appena acquisita, con una quota di maggioranza, dalla più nota piattaforma di fondi in Europa, Allfunds.

M&A, l’assetto attuale

Adesso la proprietà funziona così: Banca Generali ha acquisito il 9,8% della società londinese specializzata nel rating e advisory ESG. L’operazione, come spiega la stessa banca in una nota, consente di accelerare nella strategia del piano industriale 2022-2024 consolidando il “proprio posizionamento nell'ambito della sostenibilità e arricchendo la value proposition nell'offerta ESG”. L'ingresso di Generali avviene, a sua volta, poco dopo il perfezionamento dell'acquisizione della maggioranza (65%) nella stessa MainStreet Partners da parte della piattaforma WealthTech Allfunds, rafforzando così la partnership di competenze e servizi tra i diversi azionisti. Il management team, guidato da Fracassi, resterà azionista della società con una quota del 25 per cento. “Siamo molto soddisfatti, è il partner migliore che potessimo trovare”, dice subito il manager. “Continueremo a fare lo stesso lavoro, con lo stesso brand. Avremo solo le spalle più larghe, cosa che ci permetterà di ampliare il nostro raggio d’azione ad altri Paesi, dalla Svizzera a Singapore”.

Di recente, infatti, è stato a Singapore per parlare con alcuni potenziali clienti del wealth management. “In Asia i flussi ESG stanno crescendo”, spiega. “Secondo un report di Barclays, i fondi ESG hanno registrato afflussi del 15% nel 2022, più di tre volte la media globale. È stata inoltre raddoppiata la quota di mercato dei fondi, passata dal 2 al 4 per cento”. Cifre ancora piccole rispetto al resto del mondo (soprattutto europeo), ma che comunque vanno tutte nella stessa direzione.

Una storia a due facce

Non è un caso, perciò, che la società specializzata in ESG advisory e portfolio analytics sia cresciuta di pari passo con l’offerta di prodotti sostenibili. Spinte dalla normativa UE, le tematiche ESG oggi sono al centro dell’industria del risparmio gestito, anche se, date le recenti riclassificazioni dei fondi, emerge una chiara confusione sull’identificabilità dei prodotti sostenibili e su come evitare il rischio greenwashing. “Abbiamo assistito a una riclassificazione dei fondi, dovuta in particolare alla presenza di una normativa in evoluzione, per cui i gestori mirano a evitare sia problemi legali/di compliance, sia potenziali accuse di greenwashing. Nel 2022 abbiamo registrato circa 21 prodotti che da articolo 9 sono diventati articolo 8. Ma a gennaio di quest’anno i fondi riclassificati sono stati già quasi un centinaio. Segno che il fenomeno è in forte crescita”. Per Fracassi però questo non è una nota di demerito. Anzi. “Il mercato ha voglia di investire ESG e continuerà a diventare sempre più ESG. Il downgrade per noi è solo una forma di maturazione del sistema. Ci si è resi conto che avere un fondo articolo 9 non è così semplice, non basta aggiungere una frasetta indicativa”.

Eppur vero che, come già detto, le norme non sono ancora del tutto chiare. “C’è uno scollamento tra la norma scritta e la messa a terra della stessa, all’interno di un portafoglio. Il che rende le cose più difficili ma anche il nostro mestiere più interessante. Aiutiamo i clienti proprio in questo. Adesso è necessario fare le cose con un certo criterio, tanto più che il regolatore sta ancora lavorando a tutti quei processi più quantitativi, a partire dalla tassonomia. Il mercato sta capendo che se devi giocare questa partita, la devi giocare in maniera strutturata”.

Dati e costi, il vulnus degli ESG

Far poco ma fare meglio, insomma. Anche se quel poco tanto piccolo non è. “Per numero di masse, gli investimenti sostenibili ormai si aggira attorno al 50% del mondo Ucits”, conferma Fracassi. “Da qui al 2024 non ci sarà magari quella crescita esponenziale che abbiamo visto negli anni precedenti, ma il trend è in continuo aumento. Parliamo di numeri che quindici anni fa, quando siamo nati, non avremmo mai nemmeno immaginato”. Il lavoro, insomma, non manca. La società fa due diligence circa su 300 case di gestione in tutto il mondo. Ed è sempre più evidente come ci si attrezzi ad una riconversione dei processi interni. 

La normativa europea SFDR si conferma il driver più importante per l’evoluzione dell’approccio degli asset manager agli ESG. Ci sono però ancora pochi dati, e poco affidabili. Uno dei problemi riguarda i costi. “Non tutte le società possono permettersi di investire in struttura e gestione. I dati restano tendenzialmente cari. Abbiamo lanciato la nostra piattaforma ESG anche per questo: democratizzare il dato, renderlo accessibile anche a quelle boutique che non hanno punti di ingresso. La questione dei dati e dei rating è fondamentale per costruire il corretto investimento sostenibile”, ribadisce il manager. Dall’analisi dei dati EET, ad esempio, MainStreet ha rilevato che oltre il 90% dei fondi classificati in Europa come articolo 9 non avevano fatto disclosure sugli obiettivi di carattere ambientale, e circa un terzo di questi dichiarava una percentuale minima di investimenti sostenibili pari o inferiore al 30 per cento. La conclusione a cui è arrivata la società è che i dati EET siano ancora poco affidabili. “Ci aspettiamo un miglioramento della quantità e della qualità dei dati”.