Commento a cura di Stefano Giovannetti, business development director, studio legale Bonn Steichen & Partners.
La crescita delle PMI europee oggi passa anche attraverso strumenti di mercato che le rendono accessibili a capitali terzi, capitali che permettono un loro sviluppo tecnologico e strutturale, ”modernizzandone” anche la governance interna.
In un panorama europeo di Venture Capital e Private Equity in forte crescita, l’Italia, dati alla mano, non riesce ancora a canalizzare una percentuale sufficiente di questi capitali: nel 2017 in Europa si contavano ottomila fondi d’investimento per circa 250.000 transazioni; la raccolta dei fondi ha superato i 90 miliardi di euro, raggiungendo il livello più alto dal 2006. L’ultimo report dell’Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt (AIFI) indica che nello stesso periodo, gli investimenti di settore in Italia sfiorano soltanto i 5 miliardi di euro; questo dato, che rappresenta comunque un salto in avanti rispetto al 2016, fotografa una situazione di forte ritardo rispetto al resto d’Europa.
Guardando al mercato italiano con gli occhi degli investitori esteri, appare sempre più marcata la necessità di un progressivo cambio di mentalità degli imprenditori italiani, volto a favorire una maggiore condivisione delle scelte strategiche e di gestione con investitori terzi, anche in un’ottica d’internazionalizzazione, separandosi dalla pura dinamica familiare, che è stata fino a oggi la forza delle PMI italiane. Colpisce inoltre come molti potenziali investitori, incluso in questo caso gli italiani, siano essi istituzionali o privati, ricerchino fuori dall’Italia gli strumenti che permettano loro di concretizzare l’investimento. Una delle realtà molto sollecitate in tal senso è quella lussemburghese, dove nel corso degli anni si è notato un forte incremento delle transazioni di tipo Private Equity e Venture Capital, realizzate attraverso alcuni veicoli d’investimento sui quali è utile soffermarsi brevemente:
Il CLUB DEAL tramite SOPARFI
Quando un ristretto numero di investitori decide di unirsi per condividere uno o una serie di investimenti in PMI (c.d. Club Deal) è spesso utilizzata la Società di partecipazione finanziaria (Soparfi), che si caratterizza per la detenzione di partecipazioni e il finanziamento delle stesse. Con l’entrata in vigore della direttiva europea sui fondi alternativi (AIFMD) la Soparfi può essere qualificata come fondo d’investimento alternativo (AIF) o meno, secondo le caratteristiche di governance interne.
I FONDI REGOLAMENTATI – La distribuzione come valore aggiunto
- Il fondo SIF
Lo Specialised Investment Fund (SIF) si indirizza a investitori qualificati nel rispetto del principio di diversificazione del portafoglio d’investimento (massimo 30% in un unico emittente); se gestito da un GEFIA può essere commercializzato nello spazio economico europeo tramite procedura di registrazione. Il fondo SIF è soggetto ad autorizzazione e controllo dell’Autorità di Vigilanza lussemburghese (CSSF).
- Il fondo SICAR
La Società d’Investimento in Capitale a Rischio (SICAR), anch’essa riservata a investitori qualificati, si differenzia dal SIF per la possibilità di investire in un unico asset, purché sia qualificabile come capitale a rischio, e abbia finalità di sviluppo. L’investimento deve essere poi liquidato in un periodo medio di sette/nove anni. Come il fondo SIF anche il fondo SICAR se gestito da un GEFIA può essere commercializzato nello spazio economico europeo ed è soggetto ad autorizzazione e controllo dell’Autorità di Vigilanza lussemburghese (CSSF).
IL FONDO NON REGOLAMENTATO RAIF – Flessibilità e Time to Market
Il Reserved Alternative Investment Fund (RAIF) non essendo soggetto a vigilanza diretta dell’Autorità di Vigilanza lussemburghese, ma indiretta dell’Autorità di Vigilanza di riferimento del suo GEFIA, si sta facendo sempre più spazio nel mercato Private Equity e Venture Capital perché può presentare elementi comuni al SIF o alla SICAR, riducendo però sensibilmente le tempistiche di costituzione e lancio.