Rubrica di opinione a cura di Mario Noera, docente di Economia degli Intermediari Finanziari presso l'Università Bocconi, pubblicata nella sezione TV del sito di Anima SGR.
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Più volte all'anno governo, banche centrali e istituzioni internazionali - come FMI, Banca mondiale e OCSE - si cimentano nell'esercizio di fornire scenari di previsione sulla situazione economica per offrire a tutti un quadro di riferimento attendibile sul futuro. Migliaia di analisti ed esperti setacciano milioni di dati, fanno sofisticate simulazioni, lavorano e limano per mesi documenti di centinaia di pagine. Eppure negli ultimi anni quelle previsioni sono risultate praticamente sempre sbagliate. E non di poco. Ad esempio, le previsioni ufficiali del PIL fornite dal governo italiano, nei propri documenti programmatici, sono risultate sovrastimate in media di ben due punti percentuali ogni anno, almeno dal 2008 a oggi. Questo significa che il reddito effettivo del Paese - quello che poi è stato registrato a cose fatte - è risultato inferiore alle previsioni per un equivalente di 25/30 miliardi ogni anno: 200 miliardi nel corso dei sette anni in questione.
Di anno in anno il governo annunciava la ripresa del PIL ma alla prova dei fatti, almeno fino allo scorso anno, siamo rimasti in recessione. Un errore molto grande, soprattutto se ripetuto nel tempo, che ha chiamato in causa in primo luogo l'attendibilità dei modelli di previsione che gli economisti, che lavorano per i governi, utilizzano. La crisi finanziaria ha messo in discussione molti dei pilastri della teoria economica tradizionale, su cui questi modelli si basano. È possibile anche ipotizzare che gli errori di previsioni ufficiali non dipendano soltanto dall'insufficienza della scienza economica, ma che siano anche attribuibili a fattori più prosaici che attengono alla sfera della comunicazione politica nella ricerca del consenso. Dalla previsione del PIL dipende il dimensionamento di indicatori importanti come il rapporto deficit/PIL e il rapporto debito pubblico/ PIL. Se questi indicatori crescono - o non decrescono a secondo dei piani - gli accordi europei impongono tagli di spesa pubblica e aumento di tasse che sono altamente impopolari. E i governi sono restii ad attuarli in dosi massicce.
Poiché la proiezione di un PIL elevato si traduce in un rapporto deficit e debito sul PIL più basso, prevedere un PIL più alto è un tipo di errore che i governi potrebbero essere inclini ad accettare per garantirsi consenso e governabilità. In Italia gli errori di previsione si sono sempre rilevati utili in questa prospettiva: la crescita prevista del PIL è stata sempre più alta dell'andamento effettivo. Se così non fosse stato, le manovre fiscali richieste sarebbero state molto più pesanti. Contrariamente alle apparenze questi errori di previsioni non rientrano nella categoria delle manipolazioni. Le previsioni econometriche sono tecniche probabilistiche che implicano un margine significativo di variabilità, che in gergo viene chiamato intervallo di confidenza. Selezionare una previsione all'interno dell'intervallo di confidenza statistico rientra quindi a pieno titolo nell'ambito della discrezionalità del previsore. Come cinquant'anni fa ricordava il padre dell'econometria Clive Granger, il previsore governativo non è mai totalmente neutrale e tende ad utilizzare in modo asimmetrico l'ambito di discrezionalità tecnica di cui gode: in fase recessiva la pillola viene un po' addolcita per non allarmare gli agenti economici, mentre in fase espansiva appare preferibile non mostrarsi eccessivamente ottimisti.
Però, come nella favola di "Pierino e il lupo", alla lunga gli errori erodono la credibilità di chi li fa e oggi i governi hanno abusato un po' troppo dei margini di discrezionalità previsionale consentita. Oggi continuare a prospettare futuri molto rosei e dover poi confrontarsi con una realtà che crea disillusione, può avere costi politici di credibilità troppo alti. È possibile che istituzioni e governi comincino a temere che, anche se la ripresa poi arriva davvero, possa essere pericoloso alimentare un eccesso di ottimismo: in caso di ripresa economica, infatti, meglio inseguire continui aggiustamenti verso l'alto che essere poi costretti a ridimensionare i risultati positivi. Forse da queste considerazioni possiamo trarre adesso qualche elemento di maggiore ottimismo, perché lo scenario economico sta migliorando, ma le previsioni continuano ad essere stranamente basse e comunque sottostimate: per l'Italia il PIL è previsto crescere meno dell'1% per l'anno prossimo. È ragionevole sperare che oggi, diversamente dal passato, la modestia delle previsioni sia frutto della prudenza dei governi. Se così fosse allora si spera che nel prossimo futuro le sorprese possano essere sistematicamente positive, cioè a rialzo, anziché frustranti correzioni a ribasso come negli ultimi anni.