Le SGR internazionali analizzano il possibile impatto a medio-lungo termine del taglio dei tassi da parte della Fed. Probabilmente solo il primo di una lunga serie.
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La Fed ha dato ai mercati il taglio dei tassi che si aspettavano, tuttavia la reazione iniziale è stata negativa. Un dollaro più forte e una curva dei tassi ancora più piatta è la conseguenza più intuitiva della politica monetaria accomodante assunta dalla Banca Centrale statunitense. Ma cosa giustifica quel movimento al ribasso? Le società di gestione internazionali cercano di analizzare le conseguenze a medio e lungo termine.
“La vera storia è quel che succederà dopo”, così esordisce Paul Brain, head of Fixed Income di Newton (BNY Mellon IM). I prezzi sui mercati obbligazionari e azionari incorporavano già appieno un taglio del limite massimo dei Fed funds target dal 2,5% al 2,25%. “Tuttavia, con i rendimenti dei titoli a 2 anni all’1,8%, altri tagli dei tassi sono attesi”, aggiunge l’esperto. “Dopo l’annuncio iniziale del taglio da 25 punti base, l’attenzione si focalizzerà sui toni della Fed e sui fattori che potrebbero spingerla a decidere che servono altri tagli dei tassi. Sinora si è guardato prevalentemente alla debolezza dell’economia globale e alla mancanza di inflazione (inferiore al 2%). Se dovessero tornare alla ribalta le preoccupazioni sull’economia domestica statunitense, gli occhi degli investitori si volgerebbero al dollaro USA e a come si muove”, conclude Brain.
Anche John Bellows, portfolio manager e research analyst di Western Asset, affiliata di Legg Mason sostiene che se il focus della Fed rimarrà l’inflazione, questo taglio sarà solo il primo di una lunga serie. “Molto difficilmente, però, l’inflazione USA si risolleverà in maniera significativa nei prossimi mesi. Ciò che è accaduto in Europa e Giappone sottolinea piuttosto i rischi al ribasso, di cui anche Powell e Clarida hanno parlato recentemente. La Fed ha parecchio lavoro da fare in questo senso, il che potrebbe tradursi in una serie di tagli nei prossimi trimestri e nei prossimi anni. Una cosa sembra certa: se la Fed vuole davvero riguadagnare credibilità sul suo target del 2%, allora è abbastanza improbabile che arriverà ad alzare i tassi in un futuro prossimo”, dichiara Bellows. “Lo scenario dovrebbe piuttosto favorire le strategie orientate al reddito che puntano su asset che sovraperformano rispetto ai benchmark. Crediamo che il credito investment grade e i titoli garantiti da ipoteca (cosiddetti agency mortgage-backed securities, MBS) siano due ottimi candidati per fornire extra rendimenti nel resto del 2019”, aggiunge.
Quello che è accaduto è un tipico esempio di ‘buy the rumour, sell the fact’ afferma Delphine Arrighi, gestore di Merian Global Investors. “In un contesto nel quale l’outlook incerto per la crescita globale costringe tutte le banche centrali a spostarsi verso politiche monetarie accomodanti, crediamo che il debito emergente rimanga uno dei migliori investimenti disponibili”, dichiara la portfolio manager. Infatti una Fed ‘colomba’ dà anche più spazio alle banche centrali emergenti di proseguire i loro allentamenti monetari, dato che il differenziale in termini di tassi di interesse con il resto del mondo si restringe, segnalando la fine del ciclo del dollaro forte e permettendo alle valute emergenti di far fronte a un accomodamento monetario domestico. “Rimaniamo nel complesso costruttivi verso il debito emergente e continuiamo a vedere valore in modo selettivo sull’high yield e sui mercati di frontera”, conclude Arrighi.
Per Olivier Marciot, investment manager di Unigestion sono tre i fattori di rischio di cui tener conto: rischi macro legati alle condizioni di crescita mondiale; sentiment di mercato, solo un forte shock potrebbe invertiré l’ottimismo attuale; e le valutazioni, la maggior parte delle asset class risultano costose. “Poiché il sostegno della banca centrale è qui per rimanere almeno fino alla fine dell'anno, il contesto macroeconomico rimane sufficientemente favorevole da garantire un accomodamento, mentre il sentiment del mercato è variopinto e le valutazioni meno favorevoli. Pertanto, privilegiamo attualmente le strategie di carry (nel credito e FX) e coperture tattiche verso l'esposizione ad asset di rischio, attraverso posizioni convesse opzionali sugli indici azionari”, conclude Marciot.