Stranded asset, come gestire gli investimenti a rischio sostenibilità

Veeterzy Unsplash
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Otto anni fa l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney tenne un discorso alla Banca Mondiale che fece risvegliare le coscienze degli investitori su un tema ancora poco dibattuto: gli stranded asset. Fu una delle prime volte in cui si iniziò a porre l’accento sull’importanza della gestione delle attività legate al carbonio all’interno dei portafogli. Una riflessione essenziale in un’economia che iniziava lentamente a orientarsi verso l’energia pulita. Negli anni sono stati compiuti diversi passi avanti sul fronte della lotta al cambiamento climatico. L’ultimo è rappresentato dalla COP26 di Glasgow dello scorso novembre, quando i leader mondiali si sono incontrati per impedire che diventasse un fenomeno incontrollabile. 

Affrontare il rischio

Se le promesse fatte in quella che è stata definita ‘l’ultima chiamata’ per il clima saranno mantenute, che farne dell’insieme di quelle infrastrutture del mondo fossile come pozzi petroliferi, miniere di carbone, gasdotti, ovvero dei principali investimenti legati all’economia del carbonio e destinati a perdere valore nei prossimi anni? “La minaccia degli stranded asset è reale e purtroppo molti emittenti e investitori non stanno prestando abbastanza attenzione a questo argomento”, commenta Frank Di Crocco, head of Banks and Wealth Management di Invesco

Frank Di Crocco Invesco ok
Frank Di Crocco,
Invesco

“Sia gli investitori che gli emittenti (aziendali e sovrani) devono iniziare a valutare il valore delle loro attività in un’ottica futura, in cui la risposta politica e la distruzione della domanda di mercato potrebbero svalutare significativamente le attività detenute oggi o renderle non redditizie in futuro”, sottolinea di Crocco. Secondo il manager “da una prospettiva puramente climatica, ovviamente, si dovrebbero chiudere immediatamente le attività ad alta intensità di carbonio, ma questa non è una soluzione praticabile per almeno un paio di motivi: in primo luogo, non sarebbe un buon risultato per gli investitori; ma sarebbe anche ingiusto nei confronti dei lavoratori e delle comunità i cui mezzi di sussistenza e il cui benessere dipendono da queste attività. Se si vuole perseguire una 'transizione giusta', occorre trovare una soluzione per 'mandare in pensione' gli asset ad alta intensità di carbonio senza però colpire negativamente i lavoratori e le comunità che attualmente non hanno altre alternative”. 

Trovare il giusto compromesso tra il perseguimento degli obiettivi ambientali e la minimizzazione del danno economico non è un compito facile. “Ma ci sono già alcuni strumenti disponibili che mirano a raggiungere entrambi i risultati”, come “la cartolarizzazione del debito per facilitare il 'pensionamento' delle attività legate al carbone” e “le compensazioni per le chiusure stanziate dai governi”. Proprio i governi, per di Crocco, “dovranno giocare un ruolo anche in questo se vogliono raggiungere i loro impegni sul clima. Se si vogliono raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, gli investitori, gli emittenti e i regolatori devono collaborare per trovare la soluzione migliore per finanziare questa transizione, compreso il modo di affrontare la gestione degli stranded asset. Quello che dobbiamo evitare è di trovarci di fronte a società che vendono le attività ad alta intensità di carbonio solo per migliorare le proprie performance in termini di riduzione della produzione di carbonio, ma anche escludere il rischio di spostare gli stranded asset in mercati più opachi, dove l'acquirente può pianificare di gestirle per il loro intero ciclo di vita piuttosto che liquidarle davvero”, aggiunge Di Crocco.

Gestire gli impatti

È difficile valutare gli impatti che potrebbero derivare dalle politiche pubbliche per la mitigazione dei rischi climatici e, più in generale, per fronteggiare i rischi ambientali, così come dalla mutata percezione dei consumatori e degli investitori. La regolamentazione ambientale ha sicuramente effetti positivi sulla finanza e genera vantaggi che nel lungo periodo possono superare i costi di breve termine. Ma vi è ancora incertezza sul punto di equilibrio tra costi e benefici. Come evitare o gestire questo tipo di rischio? “La prima risposta potrebbe essere quella di evitare di esporsi e di esporre il cliente a questi asset, in particolare ai combustibili fossili e al carbone, probabilmente quelli più vicini a livello temporale per rischio di incagliamento”, dichiara Matthieu David, Head of Italian Branch and Global Head of Financial Institutions & Partnerships di Candriam.

Matthieu David CANDRIAM
Matthieu David,
Candriam

“C'è una sequenza temporale più lunga per quanto riguarda il petrolio, perché i Paesi emergenti stanno utilizzando questa fonte di energia per il loro sviluppo e sono in un ciclo anteriore rispetto a quello dei Paesi sviluppati, quindi ci vorrà più tempo. Credo che una parola chiave per affrontare questo tema possa essere quella dell'essere pragmatici. Quando si parla di transizione si fa ovviamente riferimento a un processo da portare avanti nel tempo. È vero che il budget di tempo che abbiamo non è illimitato: dobbiamo raggiungere degli obiettivi precisi entro pochi anni. Però non possiamo neanche immaginare di invertire la rotta dall'oggi al domani”.

Secondo David, quindi, “il concetto di transizione giusta deve essere gestito nel tempo. La finanza attraverso gli investimenti sostenibili ha un'opportunità unica, quella di contribuire positivamente a questo processo. È importante il ruolo di investitore, ma è altrettanto fondamentale quello di 'influenzatore' positivo e di divulgatore, per facilitare un certo tipo di percorso nelle aziende in cui si investe (o non si investe). C'è una grandissima responsabilità per noi”.

La forza dell'engagement

“Gestire il rischio è il mestiere delle società di investimento, delle SGR e degli istituzionali”, esordisce Tommaso De Giuseppe, partner e head of Sales Italy di BlueBay Asset Management. È chiaro che continuano ad affluire flussi di capitali notevolissimi su attivi che devono essere cessati, oppure ridimensionati. C'è una tematica di orizzonte temporale per l'investitore che deve andare oltre il punto di viabilità della praticabilità economica e della fattibilità ecologica di queste attività, altrimenti ci si espone a perdite”, aggiunge De Giuseppe. I gestori cosa possono fare per mitigare il rischio? “La nostra reportistica si è dotata intanto ai fini di investimento di tanti indicatori che prima non venivano utilizzati”,

Tommaso De Giuseppe BlueBay
Tommaso De Giuseppe,
BlueBay AM

sottolinea De Giuseppe, ricordando che indicatori come “quantità di emissioni, intensità di carbonio, budget di rischio che può essere allocato in funzione degli obiettivi di contenimento della temperatura, di cui si avvalgono gli analisti e i gestori delle SGR, fino a 10-15 anni fa non esistevano, mentre oggi sono di importanza cruciale”. 

Il modo migliore per gestire questi rischi è l'attività di engagement. Le SGR si sono dotate di risorse e competenze per intrattenere con emittenti e società un dialogo costruttivo basato sugli aspetti ESG. È fondamentale vedere quali policy sono state attuate per diminuire la dipendenza e controllare i rischi legati a questi asset. L’attività di engagement, quindi, aiuta ad allineare i portafogli rispetto ai requisiti della transizione ecologica e agli obiettivi dell'Accordo di Parigi. In questo senso la spinta a cui abbiamo assistito in occasione di COP26 è incoraggiante e condivisa da governi, istituzioni, aziende e società. In quanto investitori, possiamo giocare un ruolo attivo e influente nel promuovere il cambiamento, e l’engagement fa parte di questo sforzo, volto a ottenere risultati migliori per i nostri clienti e, in ultima istanza, per tutti”.

Valutare i singoli asset

“Bisogna analizzare quali sono le ragioni che portano un asset a diventare stranded”, dichiara Angelo Natale, Director Distribution Italy di Federated Hermes. “La prima è di tipo economico, per una questione di cambiamento di costi e domanda, per un particolare tipo di prodotto o servizio che impatta il pricing su quell'attività, poi c'è la parte fisica, ovvero real assets che sono a rischio a causa di condizioni meteorologiche estreme. Infine c’è l’aspetto regolatorio”. Natale ricorda che alcuni investitori “stanno affrontando questo problema con il semplice disinvestimento. Ma è importante capire se le società sono nella fase di inizio di un certo percorso per poter rimediare e risolvere il problema. Quando investiamo identifichiamo potenziali aree di rischio stranded e consideriamo la traiettoria delle società. Capiamo insieme quali cambiamenti sono pronte a fare per poter rimanere ongoing e profittevoli. Ci potrebbero essere dei casi in cui le società per varie ragioni non apprezzano il potenziale di rischio e quindi dopo aver fatto engagement bisogna tirare le somme e scegliere”.

Angelo Natale Federated Hermes
Angelo Natale,
Federated Hermes

“Per fare un esempio abbiamo gestito i rischi di stranded asset legati al nostro investimento in una utility elettrica USA storicamente abbastanza dipendente dai combustibili fossili approcciando la società e individuando questi rischi. Per noi era importante che la società non continuasse ad investire il suo capex capacity nel gas dovuto ai rischi che questi impianti diventassero rapidamente incagliati.  Anche in assenza di sussidi, per la fine di questo decennio è previsto che l’energia solare ed eolica saranno notevolmente più economiche rispetto a quella basata su impianti di gas. La società ha avviato un percorso di conversione e oggi è uno dei principali operatori di energia eolica regolamentato”, spiega Natale. Secondo quest’ultimo “è infine molto importante sottolineare la rilevante iniziativa presa dalla BCE alla fine dello scorso anno, il cosiddetto climate stress test delle banche. Un esercizio che permetterà alla BCE di avere una migliore visione del legame tra banche e rischi legati al climate change. È solo l’inizio, ma è importante cominciare a dare la giusta attenzione al tema”.