I falsi miti sul tessuto economico del nostro Paese

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La missione primaria del private banker è di tutelare i patrimoni di famiglia e farli crescere nel tempo.

“Ma non solo, il professionista deve anche avere l’ambizione di indirizzare parte del portafoglio in strumenti a sostegno dell’economia reale”, spiega Antonella Massari, segretario generale di AIPB. “Il private banker deve essere un punto di riferimento anche per l’imprenditore levereggiando il rapporto fiduciario costruito nel tempo”. 

Diamo un po' di dati: in Italia il private banking gestisce quasi 800 miliardi di euro, un quinto della ricchezza delle famiglie italiane. Il cliente medio ha dai 55 anni in su e circa il 20% sono imprenditori. “Per la crescita del Paese sono necessari investimenti nell’economia reale con strategie di lungo periodo, spiega Massari. Secondo le nostre ricerche il 60% degli imprenditori vogliono una consulenza per la gestione futura dell’azienda, ma fanno fatica a lasciare il comando”.

Ma perché l’imprenditore dovrebbe scegliere il private banker in materia di consulenza? “Il vantaggio del private banker deriva da un rapporto di fiducia consolidato negli anni, che gli ha permesso di conoscere bene la sua clientela e i bisogni sia famigliari che legati all’azienda”.

Falsi miti

Secondo uno studio redatto da Dario Voltattorni, direttore esecutivo di AIDAF, si evince che ci sono dei falsi miti relativi al tessuto economico italiano. Innanzitutto l’Italia non è l’unico Paese con una forte presenza di aziende famigliari. “Negli Stati Uniti, il 90% del tessuto produttivo è costituito da società famigliari, mentre in Italia sono l’85%”. Un altro falso mito, è la credenza che in Italia le aziende famigliari non vogliamo quotarsi. “Il 60% delle imprese quotate sono imprese famigliari, più della metà”. Un altro dato interessante, riguarda le imprese famigliari che riescono a superare la terza generazione: in Italia sono il 13%, un dato in linea con gli altri Stati, in particolare nel 2016 sono ci sono stati 3.300 passaggi intergenerazionali.

Il 25% delle aziende famigliari italiane è gestito da leader con oltre 70 anni di età. “Questo dato dimostra la difficoltà del passaggio del testimone”, spiega Voltattorni. “L’imprenditore non vuole scontentare i figli e questo provoca confusione nelle aziende. È importante che le deleghe siano ben chiare. Il private banker per accompagnare l’imprenditore in questo processo, deve tenere presente tre aspetti:

  • Managerializzazione: è necessaria una struttura di governance con un manager che non fanno parte della famiglia. I manager per essere incentivati a rimanere devono avere le stesse possibilità di carriera dei figli all’interno dell’azienda. 
  • Internalizzazione: far crescere impresa a livello internazionale non solo in termini di export ma anche di presenza fisica.
  • Evoluzione del capitale: Gestire diverse fonti di finanziamento e non solo bancarie: attività di M&A, minibond etc. 

Ma concretamente come si può fare?

Ce lo spiega Gabriele Barbaresco, direttore Area Studi di Mediobanca. “Ci sono diversi margini di miglioramento nelle aziende famigliari. Il processo parte dalla definizione strutturata della governance societaria”. Ci sono diversi passaggi da tenere in considerazione: definire le problematiche, implementare un piano d’azione, sistemare le difficoltà organizzative e passare il testimone. “Tutti questi passaggi devono essere ordinati, bisogna considerare anche gli stakeholders della società: fornitori, banche etc.”, spiega Barbaresco. Per questo motivo ci vuole del tempo altrimenti si genera conflitto”.

La problematica del passaggio generazionale riguarda le competenze: “Molti imprenditori fanno fatica a trovare le competenze in famiglia. Ma questo non significa che non possano essere prese da fuori, conclude Barbaresco.