ELTIF, l’Europa spinge sull’economia reale. Operatori e investitori si preparano al nuovo ciclo

Markus Spiske Unsplash
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Gli European long term investment fund (Eltif) si sono candidati, fin dalla loro nascita, come strumento ideale per veicolare la liquidità dei risparmiatori verso l’economia reale. E la spinta risulta maggiore oggi, in un contesto di mercato in cui la ricerca di asset alternativi si impone come risposta ai timori sull’inflazione (destinata a durare) e alla volatilità dei mercati. Introdotti a livello europeo nel 2015, e recepiti dal nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 233 del 2017, hanno visto una partenza un po’ in sordina, compromessa in particolare dalla scarsa liquidità dello strumento. In Italia, in particolare, gli Eltif hanno trovato “terreno fertile” grazie alle norme e alla fiscalità sui fondi PIR alternativi, con la presenza di un beneficio fiscale per la detenzione dello strumento per almeno cinque anni. Queste ultime componenti hanno contribuito a qualificare il nostro come il primo Paese in Europa ad avere commercializzato lo strumento, attraendo il maggiore interesse da parte della clientela retail. Il primo Eltif a ottenere l’autorizzazione alla commercializzazione in Italia è stato l’Eurizon Italian Fund nel 2019, a oggi, secondo i dati resi disponibili da AIPB – Associazione Italiana Private Banking, sono 36 i fondi Eltif commercializzati in Italia (37 se si include nel computo il fondo lanciato da Pictet il 16 maggio 2022), mentre, stando al Registro dei gestori di fondi Eltif tenuto da Banca d’Italia, a fine aprile 2022 erano 11 gli asset manager iscritti (altri fondi commercializzati in Italia sono iscritti presso i registri delle rispettive autorità di controllo nazionali –  NCAs).

I fondi Eltif, come da Regolamento UE, investono su progetti imprenditoriali a medio e lungo periodo e sono, come tutti gli strumenti finanziari, soggiacenti alle “alterne” dinamiche del mercato. Il dettaglio è da tenere a mente anche in relazione alle ancora incerte aspettative sul 2022. Tuttavia, un punto a favore di una loro implementazione potrebbe arrivare dalle modifiche regolamentari avanzate in sede comunitaria nell’ambito del più ampio progetto sulla Capital Market Union (CMU) lanciato nel 2020. Il 25 novembre 2021 la Commissione ha adottato, infatti, un “pacchetto” di quattro proposte legislative tra le quali è prevista la revisione del Regolamento Eltif che disciplina la creazione e la commercializzazione di questi strumenti. Secondo una recente indagine di Scope Rating, agenzia di rating europea, sono due le variabili che possono spingere sul mercato: le modifiche regolamentari in discussione in atto nel blocco UE, appunto, e la creazione di un mercato secondario in quanto soprattutto gli investitori retail, “vedono l'illiquidità della maggior parte dei prodotti Eltif come un ostacolo”.

Normativa europea

Sul primo punto, quello delle modifiche regolamentari, si concentra gran parte della discussione sul futuro dei Fondi di investimento europei a lungo termine. “Le modifiche al Regolamento vogliono dare una spinta a questo tipo di investimento, facendo venir meno alcuni limiti per i clienti al dettaglio”, afferma Luca Zitiello, managing partner di Zitiello Associati Studio Legale. Il professionista sottolinea, a questo proposito come non si assista unicamente all’eliminazione della soglia di investimento minimo (10 mila euro) “ma cade anche la limitazione in termini di concentrazione del 10% per i clienti con portafoglio inferiore a 500 mila euro”. A questo si somma anche una modifica in merito al test di adeguatezza che “perde il riferimento specifico alla conoscenza degli Eltif e viene del tutto equiparato a quello MiFID. La scelta quindi è quella di creare una tipologia di Eltif totalmente dedicata ai clienti al dettaglio che si affiancherebbe a quella rivolta ai clienti professionali”.

Spinta UE e mercato secondario

Tuttavia anche altri  elementi suggeriscono che lo slancio recentemente osservato nel mercato degli Eltif continuerà. Secondo Rossano Rufini, managing partner e responsabile Private Equity di Equita Capital SGR, con le modifiche regolamentari “verranno ampliati gli asset ammissibili, sarà consentito il re-investimento anche in fondi diversi dagli Eltif e riviste le soglie di diversificazione. L’Italia sta già svolgendo un ruolo da protagonista in Europa, queste modifiche consentiranno un’ulteriore accelerazione della diffusione degli Eltif fermo restando un’auspicabile crescente sensibilità del private banking. Gli Eltif peraltro sono ideali per contribuire a finanziare la transizione verde e digitale”. A creare ancora una barriera alla loro diffusione, come più volte sottolineato, il loro essere prodotti illiquidi, “non per tutti dunque”, continua Ruffini. “Sono sicuramente apprezzabili gli sforzi regolamentari che mirano a mitigare il rischio e a creare delle finestre di liquidità nel corso di vita del fondo ma spesso non sono funzionali né compatibili con la strategia di investimento scelta. Sarebbe molto più efficace promuovere la creazione di un mercato secondario attraverso il lancio di fondi che abbiano come obiettivo quello di acquisire quote di altri Eltif, obiettivo realistico tuttavia solo per dimensioni di mercato adeguate”. 

Impatto sulle depositarie

In ultima analisi, nel nostro ordinamento l’iscrizione al registro dei gestori di Eltif tenuto da Banca d’Italia prevede, tra le normali procedure, la presenza di un accordo sottoscritto con il depositario. Tuttavia secondo Zitiello l’impatto sull’attività delle depositarie “in quanto tali”, non dovrebbe essere significativo “considerato che questi strumenti finanziari sono meramente rubricati presso le banche distributrici ove il cliente detiene il conto liquidità e il conto titoli, mentre gli asset sottostanti continuano a essere depositati presso l’originaria banca depositaria del fondo”. Questo non toglie che un possibile aumento dei flussi abbia un impatto sulle entità nell’ambito dei securities services. “L’aumento dei flussi dovrebbe invece interessare quelle banche depositarie che agiscono in Italia in qualità di SIP, ossia di soggetto incaricato dei pagamenti, che svolgono un ruolo importante nel regolamento delle operazioni aventi a oggetto prodotti commercializzati in Italia”, afferma il legale.