In questa tavola rotonda abbiamo chiesto a un asset manager e tre fund selector, quando l’obiettivo è investire “sostenibile”, quali sono i vantaggi e le debolezze di gestione attiva e gestione passiva?
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In questa tavola rotonda abbiamo chiesto a un asset manager e tre fund selector, quando l’obiettivo è investire “sostenibile”, quali sono i vantaggi e le debolezze di gestione attiva e gestione passiva?
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Nonostante le basse performance nei mercati tradizionali dello scorso anno, i critieri ESG continuano a riscuotere grande successo, sia nelle gestioni attive che in quelle passive. Secondo i dati Morningstar, dopo tre trimestri consecutivi di calo, a dicembre i fondi sostenibili hanno infatto registrato flussi per quasi 40 miliardi di dollari. Dopo l’irrigidimento della normativa SFDR, però, il lavoro di asset manager e fund selector si è fatto più complicato: i primi nel classificare i propri prodotti in conformità alla norma, i secondi per adeguare le proprie metriche di sostenibilità ai nuovi parametri. E quando parliamo di ETF questo lavoro di screening potrebbe essere più complesso di quello necessario per la controparte attiva. In questa tavola rotonda abbiamo chiesto a un asset manager e tre fund selector, quando l’obiettivo è investire “sostenibile”, quali sono i punti di forza e di debolezza di gestione attiva e gestione passiva?
“Gli ETF si sono affermati sul mercato nel corso degli anni soprattutto per caratteristiche quali l’efficentamento dei costi, la liquidità e la granularità dell’offerta”, chiarisce subito Greta Guerrini, Passive Sales in Dws. “Queste motivazioni sono alla base del successo degli ETF ESG anche se ciò che ha reso questa soluzione d’investimento particolarmente popolare negli ultimi anni è stata probabilmente la trasparenza della metodologia alla base della costruzione degli indici benchmark”. Gli investitori hanno infatti la possibilità di analizzare nel dettaglio ciascun aspetto dei diversi approcci proposti e scegliere quello che è maggiormente allineato alle proprie policy e decisioni di investimento sostenibile. Prosegue Guerrini: “Un ulteriore aspetto che guida la selezione degli ETF è come ciascun provider svolge l’attività di stewardship e di engagement: gestione passiva non significa infatti inattività da parte del gestore. Attraverso il corretto esercizio dei diritti azionari si può infatti dare un contributo attivo alla trasformazione delle politiche aziendali in ambito ESG”.
1/4La gestione passiva ha sicuramente come grande punto di forza la trasparenza, conferma Francesca Villa, responsabile monitoraggio e asset allocation di Banca Mediolanum: “Si conosce l'indice di riferimento, si conoscono le regole in base alle quali si selezionano i titoli, si riesce a conoscere più o meno esattamente quale sarà la selezione di titoli in cui si andrà a investire. Questo è molto importante quando si parla di sostenibilità perché ogni provider ha un modo diverso di fare selezione, vi possono essere delle mere esclusioni oppure si possono cercare titoli che rientrano in trend specifici”. Secondo l’esperta, il punto invece negativo, tipico degli ETF e dei fondi passivi, è “il rischio di concentrazione sugli stessi titoli che può diventare un problema nei periodi di alta volatilità. Un altro malus è dato dalle esclusioni fatte sistematicamente perché non c'è un gestore: si rischia di escludere società che hanno da poco iniziato un percorso virtuoso di crescita”. La gestione attiva ne è la perfetta controparte, prosegue Villa: “Come punto di forza abbiamo l'attenzione all’allocazione dinamica, grazie alla presenza del gestore. Questo comporta, tuttavia, la necessità di maggiori risorse, economiche e di personale. L'altro rischio che vediamo è che, spesso, affinché l’analisi della sostenibilità sia ben fatta e gestita nel tempo, dallo screening di migliaia di società, si giunge a portafogli molto concentrati”.
2/4Sul tema della trasparenza, però, Alessandra Festini, ESG specialist di Cassa Nazionale Forense ha qualcosa da aggiungere: “Sia i fondi tradizionali attivi, che gli ETF sostenibili, sono incrementati tantissimo negli ultimi tre anni. Quello che è fondamentale nella selezione di entrambe le tipologie di fondi, è la due diligence. E’ vero che i prodotti passivi replicano degli indici e hanno un grado di trasparenza maggiore rispetto alla gestione attiva, in cui è necessario richiedere al gestore una trasparenza sui dati del fondo, ma è vero anche che molti di questi prodotti hanno limitazioni ed esclusioni diverse. Quindi in ogni caso bisogna fare un'analisi accurata. Un vero punto di forza degli ETF è quello di essere molto liquidi, così come lo è il fatto di essere a basso costo”, poiché non c’è un team di gestione da remunerare come nel caso della gestione attiva. Prosegue Festini: “L’ETF può essere lo strumento ideale per traghettare una gestione tradizionale a una più sostenibile, perché quando si trasforma il proprio portafoglio sono necessari strumenti liquidi e trasparenti. Per noi che siamo investitori istituzionali la gestione attiva ricopre comunque un ruolo fondamentale, ma sicuramente per gli investitori privati la gestione passiva è molto utile/facile”.
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In conclusione, Ilaria D’Ascenzio, head of Strategy & Specialist, Sustainability Center di BNL BNP Paribas Private Banking & Wealth Management, ricorda che quella della sostenibilità non è una moda ma una cosa seria: “Secondo me dobbiamo vedere la sostenibilità come una terza dimensione. Se prima guardavamo solo al rendimento e al rischio, oggi il terzo tassello da analizzare all'interno degli strumenti dovrebbe essere proprio la sostenibilità. Di conseguenza, per prodotti attivi e passivi, la sostenibilità va analizzata come parametro a sé. Dobbiamo però cercare di darvi materialità, e per farlo servono i dati quantitativi. Oggi il lavoro dei fund selector è diventato ancora più sfidante: l’offerta di prodotti sostenibili è amplissima e i temi di investimento sono a volte complicati”. Con i bassi rendimenti degli ultimi anni, molti fondi si sono dovuti evolvere creando strategie diverse e, nel caso della gestione passiva, andando a ricercare benchmark complessi. Conclude D’Ascenzio: “Valutare il risparmio in termini di emissione di CO2 per un ETF potrebbe essere più facile per la trasparenza dello strumento, ma lo diventa meno quando si replica un benchmark elaborato, che non è certo l’S&P 500. Noi come collocatori andremo sempre più nella direzione di chiedere le preferenze di sostenibilità al cliente, guidarlo e condividere con lui le sue esigenze e starà poi a noi essere in grado di poterle soddisfare al meglio con diverse tipologie di strumenti”.
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