Federated Hermes: "È davvero tutta colpa della green inflation?"

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Saker Nusseibeh, foto ceduta (Federated Hermes)

Con l'inflazione al rialzo in tutto il mondo e le principali Banche centrali alle prese con l'aumento dei tassi di interesse, i critici della transizione net zero provano a puntare il dito contro la greenflation (l'inflazione causata dalla transizione al green) sostenendo che i prezzi delle materie prime stanno aumentando perché materiali come rame, stagno, nichel, cobalto e alluminio sono molto richiesti per essere utilizzati nello sviluppo di tecnologie energetiche più green. Nel frattempo, l'offerta di queste materie prime è limitata, a causa dei timori di natura ambientale, sociale e di governance legate a nuovi progetti minerari.

Non è solo questione di greenflation...

“Dare la colpa dell'inflazione esclusivamente al percorso di transizione verso il modello net zero è una semplificazione eccessiva delle complesse dinamiche che portano all'aumento dei prezzi in differenti settori”, avverte Saker Nusseibeh, CEO della divisione internazionale di Federated Hermes. Secondo l’esperto la crisi del gas in Europa e in Cina è stata uno dei fattori principali alla base della recente impennata dei prezzi dell'energia, essa stessa una manifestazione, tra l’altro, degli squilibri tra domanda e offerta e delle interruzioni tipiche che dipendono dalla pandemia. “La crisi del gas è stata in parte alimentata da una maggiore domanda da parte della Cina come sostituto del carbone, trend che riflette i primi sforzi del Paese verso la decarbonizzazione. Con la Russia che fa pressione sull'Europa per l'approvazione del gasdotto Nord Stream 2, anche le questioni geopolitiche sono entrate in gioco. Mentre l'uso dei combustibili fossili diminuisce nel tempo, i loro prezzi si muovono generalmente al ribasso, ma possiamo immaginare che questo percorso sperimenterà grande volatilità”, analizza Nusseibeh.

“La spinta verso la decarbonizzazione e la prospettiva di scarsi ritorni all’interno di quei settori tipici della old economy hanno naturalmente indirizzato gli investitori lontano dai combustibili fossili e in direzione delle energie rinnovabili. Questo gradito e necessario cambiamento ha portato ad alcuni attriti che si sono palesati nel breve termine”, afferma. Tuttavia le alternative ai combustibili fossili non si sono rivelate sostanziali nel colmare il divario con l'attuale crescente domanda di energia, con le economie in ripresa dopo la crisi e un’offerta da fonti rinnovabili ancora intermittente. Perciò il manager di Federated Hermes ammette che probabilmente la transizione verso un mondo più verde e sostenibile avrà in prima battuta un impatto inflazionistico. “Attualmente, i prezzi della maggior parte dei beni e dei servizi che consumiamo non rispecchiano l'effetto dannoso sull'ambiente della loro produzione. Col tempo, l'innovazione tecnologica sostenuta da investimenti privati e pubblici potrà compensare tutto ciò”, rassicura.

Diventare green non costa di più

“La portata del progresso tecnologico che si sta dispiegando per contribuire a rendere green la nostra economia è sottovalutata”, avverte il professionista che aggiunge: “I costi dell'energia rinnovabile sono scesi a un ritmo più veloce di quanto molti si aspettassero, al punto che alcune energie rinnovabili hanno già un prezzo più competitivo dei combustibili fossili. Il solare fotovoltaico, già più economico del gas o del carbone come fonte energetica, è destinato a diventare ancora più competitivo nei prossimi due decenni”, illustra.  E per Nusseibeh assicurare che la transizione ambientale sia equa e non generi un impatto sproporzionato su coloro che hanno i redditi più bassi, gli investimenti in ricerca e innovazione saranno una delle chiavi. Insieme, per esempio, a politiche redistributive di sostegno, sarà un fattore importante nel rendere la transizione verde meno costosa. “Potrebbe anche offrire opportunità di guadagno. E l’interesse nei confronti di questi investimenti è molto significativo, sia nel settore pubblico sia in quello privato”, dice.

E che significa per gli investitori?

“Le promesse fatte alla COP26 l'anno scorso richiedono che la finanza green e le società mantengano i propri impegni. Per coloro che adottano una prospettiva di lungo termine, il sostegno agli asset verdi rimane forte”, spiega. Ma nel breve periodo i titoli con una duration lunga e alta qualità, come i green bond, potrebbero rivelarsi sensibili ai rialzi dei tassi di interesse da parte delle principali Banche centrali quest’anno e l’anno prossimo: Stati Uniti, Regno Unito ed Europa. “Ciò perchè hanno caratteristiche simili alle obbligazioni investment grade e un incremento dei rendimenti dovuto a un aumento dei tassi d'interesse comporterebbe un calo dei prezzi delle obbligazioni stesse”, spiega Nusseibeh.

“Nonostante questo probabile impatto negativo di breve periodo dovuto a forze macro esogene, è molto probabile che i green bond diventino un elemento permanente di mercato nel lungo periodo a causa della transizione strutturale che sta vivendo l'economia globale, sulla scia degli impegni condivisi a favore della decarbonizzazione”, dichiara. Tuttavia secondo il manager è importante ricordare come l’investimento sostenibile non è di certo limitato a una singola asset class: “Gli emittenti devono essere valutati, qualunque sia l'asset class di appartenenza, da un punto di vista formale”, dichiara. “Ed è per questo che valutiamo sempre le credenziali di sostenibilità del business sottostante. Credenziali di sostenibilità forti possono aiutare a ridurre il costo del capitale, che a propria volta potrebbe rivelarsi un elemento vantaggioso nel fornire una certa protezione dagli aumenti dei tassi di interesse. Il quadro generale è più eterogeneo di quanto si possa pensare”, conclude.